15 dicembre 2024

Lettera a BN

Caro BN,
mi rendo conto che è da un po' di tempo che non ti scrivo e questo non depone a mio favore.
Sono passati i tempi in cui, con un bieco ricatto emotivo, ti scrivevo lettere in cui ti ricordavo quanto ero stato buono e ubbidiente solo per poterti poi richiedere una lista di regali, spesso tristemente disattesa.
Ricordo di qualcuno che ti faceva concorrenza nel portare i doni, Gesù Bambino, tanto che ad un certo punto non ero più sicuro del destinatario corretto a cui indirizzare le mie lettere di raccomandazione.

Mi ricordo quando, in attesa del tuo arrivo - a casa mia arrivavi sempre il 24 dicembre - ero costretto a mettermi in piedi sulla sedia a leggere la mia dichiarazione di intenti per il nuovo anno con la solennità di un giuramento di un ministro della Repubblica.

Non ricordo Natali particolarmente festosi a casa mia: la mia famiglia era grande ma raramente si riuniva. I cugini - purtroppo - erano per lo più lontani per cui passavo il 25 dicembre con i nonni: allora, com'è normale che sia non davo il giusto peso a questo evento, ma solo io so quanto mi renderebbe felice poterli riabbracciare adesso anche per un solo minuto e farmi fare un indovinello sugli alberi o farmi raccontare una soap opera o sentire una battuta dolcemente pungente.

Il Natale era per lo più cibo e litigate, dovute alla frequentazione coatta tra parenti; o forse no, non era proprio così, ma ricordo distintamente il senso di frustrazione che provavo quando vedevo, nei film, le famiglie che si riunivano felici, che giocavano e ridevano sotto enormi e scintillanti alberi, in case addobbate a festa e poi mi guardavo attorno.
Un po' come quando arriva il momento di fare l'amore ma tu hai visto solo film porno.

Insomma, ho qualche problema con il Natale e non ho paura di ammetterlo.

Mi rendo conto di essere poco sensibile a tutto questo clima di festa, forse perché la bontà programmata e la felicità a comando mi irritano profondamente; eppure - lo ammetto - mi fermo spesso a guardare le lucine dell'albero e gli occhi mi si inumidiscono quando sento bambini cantare le canzoni natalizie, incantati dalle luci che invadono le città in questi giorni.

Non sono il tuo più accanito sostenitore - ammetto anche questo - ma qualche richiesta vorrei provare a fartela ugualmente.

Dammi delle spalle possenti per potervi portare sopra le persone che incontro e che hanno bisogno di un passaggio; occhi e cervello per saper vedere, saper guardare e saper distinguere tra le due cose; mani per accarezzare e battere pugni sul tavolo.
Regalami il silenzio e la forza di sopportarlo.
Donami la capacità di lasciar andare tutto ciò per cui non vale la pena perdere tempo ed energie.
Di tacere quando le parole non servono, e di parlare anche quando tacere sarebbe l'opzione più comoda.
Il tempo che vorrei dedicare a me stesso e agli altri, per ascoltarmi e ascoltarli, cercando nel mio piccolo di dare il mio contributo alla costruzione di una società più umana.
La forza di riconoscere e ammettere i miei (tanti) punti deboli e di migliorarmi.
Il coraggio di essere e non di apparire.
La voglia di essere una brava persona e non solo una persona brava.

Lo so, dopo questo elenco stai iniziando a rivalutare le mie liste di regali impossibili.
Fai quello che puoi,
credo in te.
Con affetto
L. 

Francesco de Gregori, L'uccisione di Babbo Natale


  

08 dicembre 2024

Di liceo classico e brain rot

Dicembre, andiamo! È tempo di orientare.
Il buon Gabry (D'annunzio) non mi maledirà se uso il verso di una sua poesia che avevo studiato alle elementari per descrivere quello che sto facendo da qualche settimana a questa parte, ovvero guidare genitori e studenti terrorizzati nel mare tempestoso della scelta delle superiori e mostrare loro la validità dell'offerta formativa della nostra scuola che, signora mia, non ha eguali in tutto il panorama della provincia, ma che dico della provincia? Dell'intero Granducato. 
Praticamente sono un mix tra Cristoforo Colombo e Giorgio Mastrota.
Poi l'altro giorno sono incappato nell'articolo di Silvia Avallone sul liceo classico (chi non lo ha letto, può farlo qui)
E mi sono imbestialito.

Ho frequentato anche io il liceo classico e so bene quanto quella formazione sia stata importante per me. Ricordo bene le lacrime versate sulle versioni di greco che non tornavano mai, sulla fisica studiata a memoria (che Newton mi perdoni), sulla filosofia che ogni tanto risultava un insieme di parole vuote, salvo poi capirne il significato guardandola da lontano, come un quadro astratto.
Far passare, però, il messaggio che il classico sia l'unico baluardo della cultura mi sembra veramente sbagliato: la scuola, qualunque essa sia, dovrebbe avere la funzione di preparare alla complessità e far diffidare dal tutto e subito. Il latino e la filosofia, citati da Avallone nell'articolo, si studiano in molti licei e non credo che la matematica abbia qualcosa in meno del greco nella formazione di persone di cultura.

Certo, è vero che la scuola non deve essere utile in senso stretto ma ha il ruolo fondamentale di dare a ragazze e ragazzi le coordinate per interpretare la complessità del mondo circostante.
Tante volte con le mie classi ho affrontato questo argomento, soprattutto quando ci si è interrogati sul senso di studiare le guerre puniche quando fuori dalle mura scolastiche ci sono guerre che si stanno combattendo in questo momento e di cui si vorrebbe comprendere il senso. 
Ho spiegato loro che la scuola non ha il compito di inseguire la contemporaneità ma persegue lo scopo  - utopico quanto si voglia - di fornire delle competenze per interpretare ciò che accade intorno a noi, anche se non è stato oggetto diretto di studio.
È come se, alla fine dei cinque anni, si ricevesse una cassetta degli attrezzi di cui si conosce il funzionamento ma i cui molteplici utilizzi sono ancora da scoprire.

Pensare che questa preparazione al mondo esterno sia propria solo di una certa formazione è fuorviante: oltretutto - e lo dicono le statistiche - questo indirizzo è frequentato per lo più da ragazze e ragazzi che appartengono a famiglie di classi sociali medio-alte, per cui è un ascensore sociale (per citare Avallone) che, però, per proseguire la metafora, è bloccato ad un attico con vista Colosseo. 
Una sgradevole percezione di un pensiero sottilmente classista mi pervade: la cultura può essere appannaggio solo dei più ricchi, mentre gli altri sono destinati semplicemente a imparare un mestiere.

Se un compito ha la scuola, ad ogni livello, in ogni indirizzo, con ogni mezzo, è quello di prevenire il brain rot, parola dell'anno secondo l'Oxford Dictionary: con questa espressione (che significa letteralmente putrefazione del cervello) si indica uno stato mentale di intorpidimento causato dall’esposizione ossessiva a contenuti digitali. Chi vuole approfondire trova informazioni a questo link.
Ovviamente sono già partite le crociate contro i social media, responsabili di questa condizione, senza pensare che la responsabilità è, almeno al 50%, di chi fruisce di quei contenuti e non solo di chi li produce.

Abituare al senso critico e fornire stimoli in questa direzione, spingere ragazze e ragazzi alla lettura, farli innamorare della complessità, far vedere loro le donne e gli uomini dietro i romanzi, le poesie, le scoperte scientifiche, gli eventi storici e le dottrine filosofiche. 
Spiegare loro la bellezza di porsi nuove sfide, di immaginare soluzioni alternative a problemi atavici, mettersi in gioco, insegnare loro a sollevare la testa dai libri e ad utilizzare quelle parole scritte per dare un senso al mondo esterno che nelle materie scolastiche non c'è, domandarsi cosa avrebbero fatto loro in quella situazione.

Lo si può fare solo al classico? Non credo.

Roberto Vecchioni, Sogna ragazzo sogna

01 dicembre 2024

Guido, Camillo e l'amore

Guido parte da Firenze, mentre Camillo parte da Santa Margherita Ligure.
Li separano circa 225 km, facilmente percorribili con due autostrade.
Li separano anche circa 600 anni, e questo è un ostacolo un po' più difficile da superare, finché qualcuno non inventerà una macchina del tempo.
Ogni tanto, nel boschetto della mia fantasia (solo i migliori coglieranno questa citazione altissima), mi piace far incontrare persone distanti nel tempo e nello spazio, farli dialogare, far sentire loro che non sono soli, che il loro pensiero è condiviso e che esistono altre angolazioni per vederlo.
Ho dimenticato di dire i cognomi di Guido e Camillo: parlo di Cavalcanti e di Sbarbaro.

Guido Cavalcanti, amico fraterno di Dante (che non per questo gli risparmia l'Inferno... vai a fidarti del nasone), poeta stilnovista, uno di quelli che credeva che amare fosse un mezzo per elevare il proprio spirito, ma anche che l'amore fosse una delle esperienze più traumatiche per l'uomo, scrive questo:

Tu m’ài sì piena di dolor la mente
che l’anima si briga di partire,
e li sospir che manda il cor dolente
mostrano a li occhi che non pon soffrire.

Amor, che lo tuo grande valor sente,
dice: — mi duol che ti convien morire
per questa fera donna, che niente
par che pietade di te voglia udire.

Io vo come colui ch’è fuor di vita,
che pare, a chi lo sguarda, c’omo sia
fatto di rame o di pietra o di legno,

che sè conduca sol per maestria,
e porti ne lo core una ferita
che sia, com’egli è morto, aperto segno.

La donna fiera, crudele, che non vuole sentire parole di pietade , di compassione sull'uomo che la ama, ha riempito a tal punto l'uomo di sofferenza che l'unico desiderio che l'uomo è in grado di concepire è la morte. L'uomo - cosa rara nella poesia dell'epoca - si rivolge con il tu alla donna (che solitamente era la signora a cui rivolgersi con il voi) e questo dimostra la condizione disperata dell'uomo che ormai non è più in grado di ragionare lucidamente e non può far altro che sospirare, ovvero rinunciare alla comunicazione verbale, affidando ad un fiato ciò che vorrebbe dire.
Ormai l'uomo è una statua di rame, di pietra o di legno, è fuor di vita, è un morto che cammina, che si conduce solo per maestria, come fosse una marionetta o un robot e mostra, attraverso la ferita che porta nel cuore, che la sua morte è dovuta all'amore.
Una visione tragica, devastante: andrebbe detto a chiare lettere - come sui pacchetti di sigarette - che l'amore nuoce gravemente alla salute e che porta alla morte.

Ci spostiamo nel 1914. Circa 600 anni dopo i versi di Cavalcanti, Camillo Sbarbaro - uno dei miei poeti preferiti del primo Novecento ma citato solo di sfuggita nei testi di letteratura, chissà perché - capovolge completamente il punto di vista.
Sbarbaro scrive questi versi:

Io che come un sonnambulo cammino
per le mie trite vie quotidiane,
vedendoti dinanzi a me trasalgo.

Tu mi cammini innanzi lenta come
una regina.
Regolo il mio passo
io subito destato dal mio sonno
sul tuo ch’è come una sapiente musica.
E possibilità d’amore e gloria
mi s’affacciano al cuore e me lo gonfiano.
Pei riccioletti folli d’una nuca
per l’ala d’un cappello io posso ancora
alleggerirmi della mia tristezza.
Io sono ancora giovane, inesperto
col cuore pronto a tutte le follie.

Una luce si fa nel dormiveglia.
Tutto è sospeso come in un’attesa.
Non penso più. Sono contento e muto.
Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.

Basterebbe l'ultimo verso a farci innamorare di questa poesia: batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
Da una condizione di sonnambulismo, dal percorrere le solite vie, l'uomo passa a concepire possibilità d'amore e gloria, si alleggerisce della sua tristezza e smette di pensare. E tutto questo avviene grazie alla donna, ai suoi riccioletti folli: ci sembra quasi di immaginare la scena. L'uomo trasale vedendola dinanzi a sé: la vede di spalle, vede i suoi capelli, il suo cappello, sente il suo passo lento e regale. Improvvisamente il suo mondo si illumina e torna a vivere, il cuore torna a battere; l'uomo è muto, ma, pur simile, la sua condizione è diversa da quella descritta da Cavalcanti perché cambia radicalmente il segno dell'esperienza.

Mi piace immaginarli, Guido e Camillo, che, mentre mangiano una Rustichella in un rumoroso autogrill sulla A12 discutono su cosa sia l'amore.

I giganti, Tema

Lettera a BN

Caro BN, mi rendo conto che è da un po' di tempo che non ti scrivo e questo non depone a mio favore. Sono passati i tempi in cui, con un...