Quante volte abbiamo pronunciato questa frase?
Lo facciamo per deresponsabilizzarci: non è colpa mia, è stato il caso.
Per dare una spiegazione a eventi, incontri, situazioni - piacevoli o spiacevoli che siano - a cui sentiamo di dover dare una spiegazione che non riusciamo a trovare.
Lo facciamo per spiegare ciò che va al di là del nostro libero arbitrio.
Che poi, a pensarci bene, mi sto convincendo che noi, di libero arbitrio, ne abbiamo davvero pochino: non più di quanto ne avesse la Gertrude manzoniana il cui padre, dandole l'illusione di avere una possibilità di scelta, le lasciava scegliere il giorno in cui diventare monaca per sempre, senza interrogarsi sulle sue reali volontà.
Come lei, ci illudiamo di scegliere la direzione da dare alla nostra vita, ma il nostro potere di intervento è su cose minuscole.
L'etimologia - in questo - sembrerebbe darmi ragione.
"Caso", esattamente come "fato", sono due participi perfetti e ciò che è perfetto è concluso ed immodificabile.
Fato è ciò che è stato detto, stabilito; caso è ciò che è caduto dall'alto in basso.
E quando una cosa cade, certo, possiamo raccoglierla ma ormai è caduta.
Penso, però, alle persone che incrociamo per caso nel nostro cammino, ai libri che leggiamo e che non erano nella nostra lista, alle esperienze che viviamo e che ci toccano nel profondo.
Ogni volta che impieghiamo il tempo nel fare qualcosa.
Ogni volta che i nostri occhi restano impigliati negli occhi di qualcun altro.
Ogni volta che ascoltiamo, parliamo, andiamo.
Ogni volta stiamo imboccando una strada e, spesso inconsapevolmente, stiamo escludendo tutte le altre.
Sarebbero state più fruttuose? Più facili? Più dolorose?
Non lo sapremo mai. Per quanto possiamo chiedercelo, per quanto possiamo realisticamente immaginarci gli infiniti altri futuri possibili non potremo mai avere certezza di come sarebbero andate le cose se.
Ero perso in questi pensieri, quando sono andato a cercare conforto tra i libri e sono andato da uno dei miei punti di riferimento, Wislawa Szymborska, che sul caso scrive queste parole:
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.
Abbiamo sempre bisogno di darci una spiegazione razionale.
L'unico atteggiamento razionale è capire che questa spiegazione non sempre c'è.
Rileggo gli ultimi due versi della poesia, chiudo gli occhi e me li godo. In silenzio.
Franco126, Futuri possibili