13 luglio 2025

Rifiuto e vado avanti

È successo a Padova, a Belluno, a Firenze e a Treviso.
In questi ultimi giorni non si è parlato di altro se non di studentesse e studenti che da Trieste in giù - per fare citazioni di un certo spessore che non possono mai mancare fra queste righe - hanno deciso di non sostenere il colloquio dell'esame di Stato come forma di protesta verso l'intero sistema scolastico.
Su 524415 studenti che hanno sostenuto l'esame, 4 si sono ribellati.
Statisticamente è un numero irrilevante: il fenomeno ha riguardato lo 0,0008% dei maturandi, eppure è bastato questo a far parlare i media di "moda tra gli adolescenti", a far scaldare i motori della polemica gratuita da parte dei senes severi - che è un modo catullianamente elegante per definire i boomer che presidiano i social come gli umarell presidiano i cantieri - e a far intervenire anche il Ministro che non ha risparmiato toni draconiani.
Ma guardiamo il lato positivo.
Questi episodi hanno fatto sì che sui social si smettesse di parlare di mazzi di fiori, corone di alloro e di quanto i festeggiamenti al termine del colloquio siano inutili, per iniziare, invece, a concentrarsi sull'esame vero e proprio. Ovviamente la maggior parte delle opinioni sono state espresse da chi non ha la minima cognizione di causa ma parla con il solo scopo di dare voce al proprio livore nei confronti della scuola o, ancora peggio, nei confronti delle giovani generazioni; questo, però, fa parte del gioco e si impara a fare la tara. 
La verità che il problema sollevato non è affatto secondario.

Ne avevo parlato non più di qualche settimana fa: l'insofferenza di ragazze e ragazzi nei confronti del sistema scolastico è evidente a chiunque abbia a che fare - con un minimo di coscienza - con il mondo della scuola. 
Frequentare un liceo significa muoversi in un contesto le cui regole sono state stabilite oltre 100 anni fa, fatto salvo qualche ritocco qua e là che non sempre è stato migliorativo.
Ci sono molte cose che sono palesemente inattuali e i discorsi sui bei tempi andati, su quanto prima si fosse abituati al sacrificio, su quante cose si imparavano prima a scuola e su quanto ora i ragazzi siano molli, inadatti alla vita, agevolati mi procurano un fastidio fisico. Quei tempi sono andati. Stop.

La modalità di svolgimento dell'esame finale, poi, è stata rivista diverse volte soprattutto in anni più recenti (chi si ricorda l'anno delle buste in cui tutti i commissari si sentivano un po' come Mike Bongiorno quando chiedeva ai concorrenti se volevano la uno, la due o la trèèèèè?) ma nessun ministro è riuscito - almeno per ora - a trovare la formula giusta; d'altra parte, però, questo è il punto di arrivo di un percorso ma se è il percorso stesso a suscitare perplessità, è irrealistico aspettarsi che l'esame possa essere considerato appropriato.

La questione, comunque, è molto più complessa di quanto si possa immaginare: da una parte è forte la tentazione di derubricare l'atto di ribellione degli studenti come una furbata: chi ha rinunciato a sostenere il colloquio sapeva già che avrebbe comunque ottenuto il diploma grazie al punteggio ottenuto fino a quel momento quindi il suo gesto è stato puramente dimostrativo. Come se io proclamassi di voler fare la lotta ai negozi di alimentari dichiarando di non voler fare più la spesa, sapendo di avere in casa tutto il cibo necessario per sopravvivere.
Magari, le persone che ridicolizzano questa scelta sono le stesse che, in occasione della morte di Goffredo Fofi, hanno condiviso una delle sue frasi più emblematiche: "Quando trovo dei giovani bravi, il primo limite che cerco di smontare è il pensare di farcela da soli. Avrei anche quattro comandamenti: resistere, studiare, fare rete, rompere le scatole".
Se, però, rompono le scatole vanno subito rimessi a posto, altrimenti, come ha detto Gramellini sul "Corriere" poi non sono abituati a quello che succederà loro nel mondo del lavoro. 
Non credo che sia mai stato chiesto alla scuola di far abituare i ragazzi al mondo del lavoro: non credo sia questo il mio compito da educatore, quanto piuttosto quello - utopico quanto si vuole - di alimentare in loro il desiderio di sapere e la voglia di conoscere sempre di più. 
Sto sognando? Certo, ma trovo personalmente agghiacciante l'idea di doverli maltrattare perché un giorno saranno maltrattati dal docente universitario o dal datore di lavoro: non sarebbero studenti abituati, ma semplicemente studenti maltrattati due volte.

Per quanto possa sembrare sfrontato, l'atto di rifiutarsi di sostenere il colloquio - è innegabile - è comunque un atto di coraggio, coraggio che io, lo confesso senza problemi, alla loro età non avrei avuto e che non dubito che qualcuno dei miei pupilli avrebbe. Potremo dire, forse, di non aver fallito nel nostro compito se riusciremo a far sì che questo non avvenga, non perché lo avremo vietato ma perché avremo creato le condizioni perché ragazze e ragazzi non avvertano la necessità di farlo, o magari abbiano la capacità e la forza di argomentare e sostenere le proprie idee anche se questo non fa notizia.
L'atto di rifiutarsi di sostenere il colloquio, per quanto inutile, per quanto fatto - forse - per avere visibilità, non va sottovalutato: è un campanello d'allarme, è una richiesta di ascolto fatta - forse - nel contesto e nel modo sbagliato. La richiesta di porre attenzione a mettere al centro la persona e a non considerare la studentessa o lo studente un voto o un numero è sicuramente legittima ma, oggettivamente, richiede che ci sia un processo più lungo: è durante i 13 anni di scuola che deve avvenire tutto questo, non certamente nel momento dell'esame in cui - è un dato di fatto - quattro delle sette persone chiamate a giudicare vedono per la prima volta la persona che hanno di fronte.

L'ho detto altre volte e lo ribadisco perché ci credo profondamente: si può essere empatici anche senza essere molli, si possono usare i voti ed essere allo stesso tempo attenti alla valutazione della persona.
E no, non serve neppure minacciare di bocciare chi boicotta l'esame: o se ne cambia totalmente l'impianto oppure, visto che ora funziona come una raccolta punti del supermercato, non può essere bocciato chi ha raggiunto il numero necessario di punti per ottenere il diploma. A questo punto, ha più senso l'ironica proposta di Valentina Petri, la docente che c'è dietro la pagina "Portami il diario", di inserire un sistema di bonus e malus per la valutazione in stile Fantasanremo.

La soluzione non è facile e sicuramente non si può affrontare con proclami social.
I ragazzi rifiutano di sostenere l'esame, gli adulti si rifiutano di ascoltarli.
E da due rifiuti raramente nasce qualcosa di buono.

Fiorella Mannoia, Il peso del coraggio







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