23 aprile 2023

Silenzio

L’altro giorno mi è capitata tra le mani, nel mio consueto approccio disorganizzato alla poesia, un testo di Franco Arminio contenuto in “Studi sull’amore”, uno dei mille che avrei voluto scrivere io perché il poeta ha trovato le parole che io non ho mai trovato:

Ho smesso di mandare messaggi inutili

in cerca di risposte inutili.

Oggi non c'è niente di meglio del silenzio

per dire l'amore e per non dirlo.

Peccato che non posso cancellare

i messaggi che ho scritto,

peccato che non posso stare zitto

anche al passato.

Spero che questo silenzio vada all'indietro

come una gomma, spero che serva

 a cancellare le cose che ho chiesto

a chi non aveva voglia di sentirmi.

Invidio ai morti solo questo:

il loro silenzio sconfinato e inattaccabile.

Nessuno può chiedere

una risposta ai morti.


Il nostro è un momento storico in cui il silenzio è diventato un bene prezioso ma non sempre ben accetto e, allo stesso tempo, un’arma distruttiva.

Quando abbiamo goduto del silenzio l’ultima volta? Non dico del silenzio come assenza di rumore, ma di quello che fa da cassa da risonanza a quel che abbiamo dentro e che raramente ascoltiamo. Il silenzio ci fa paura perché ci costringe a fare i conti con noi stessi e spesso non abbiamo voglia di farlo perché ne usciamo debitori. 

C’è poi un altro silenzio, quello sacrosanto quando non si ha niente da dire è che invece viene violato in nome del “se non parlo non esisto”.

C’è ancora il silenzio dell’attesa che lascia che le parole dette o ascoltare si sedimentino, quello che dimostra l’autocontrollo di chi lo pratica, quello che è legato alla volontà di non ferire l’altro: silenzi a fin di bene che non sempre accettiamo perché siamo abituati allo stimolo/risposta, perché siamo condizionati da Google che ci dice subito e con buona approssimazione ciò che vogliamo e riversiamo questo modello di comunicazione sulle persone, dimenticandoci troppo spesso che siamo cuore, anima e cervello e non motori di ricerca.

C’è anche il silenzio del ghosting, quello di chi scompare senza motivo lasciando l’altra persona senza parole e in attesa. Tacere diventa uno strumento di potere, forse il più efficace, sicuramente il più crudele perché non lascia via di scampo.

In un mondo in cui tutti comunicano in maniera compulsiva, in cui bisogna esserci per essere, non parlare diventa un’arma incredibilmente potente e potenzialmente devastante.


Lacuna Coil, Enjoy the silence



16 aprile 2023

Ai miei tempi

Ai miei tempi i professori erano diversi.
Ai miei tempi i genitori erano diversi.
Ai miei tempi la società era diversa.

Scommetto che chiunque legga queste righe avrà sentito almeno una volta ripetersi queste frasi dai genitori, dai nonni, dai professori, da un qualunque appartenente al mondo degli adulti.
Non è improbabile che molti di quelli che leggono queste righe lo abbiano già detto a propria volta.
L'ho sentito dire anche ai miei giovani studenti.
Per quanto sta a me, è una di quelle frasi che ho sempre accolto con la serenità e la pacatezza di Vittorio Sgarbi e che, per questa ragione, mi sono riproposto di non dire.

D'altra parte, però, il conflitto generazionale e il misoneismo - cioè l'avversione per il nuovo - da parte di chi non rientra nella categoria dei giovani in una determinata epoca sono indubbiamente il motore del mondo.
Pensiamo alla musica: Elvis Presley, i Rolling Stones, Mina, Celentano, i Nirvana, la prima scena rap sono stati oggetto di veri e propri scontri generazionali. Mio nonno era scandalizzato dalla bocca enorme della Vanoni, preferendo la pacata e rassicurante Orietta Berti; mia nonna trovava scandaloso che in una canzone ci fosse il verso "è la pura, sacrosanta verità" perché certe espressioni non potevano essere usate nelle canzonette. 
Questo meccanismo è valido ancora adesso: come avrebbe detto Battiato la musica contemporanea mi butta giù però cerco di sospendere il giudizio per capire quale sia il messaggio, il significato, l'elemento emotivo che la rende popolare e che fa sì che i più giovani la sentano risuonare, in senso materiale ed emotivo.
I gusti musicali, i valori, i modi di pensare, le società evolvono, e la loro evoluzione non è indolore ma passa inevitabilmente attraverso uno scontro, una messa in discussione di certezze ritenute incrollabili che disorienta ma è talvolta salvifica. Accettare il cambiamento non è facile, ma va fatto, esattamente come si accettano - o si dovrebbero accettare - i cambiamenti del corpo quando si cresce.

C'è un'altra cosa da non dimenticare: col passato non si scherza.
Sono tornato, dopo diversi anni, nella casa in cui abitavano i miei nonni, morti quando ero appena adolescente: quella casa che ricordavo grande, accogliente, familiare si è rivelata piccola, spoglia, vuota. Mi sono reso conto di aver involontariamente rovinato un ricordo che si era sedimentato dentro di me ma in quel momento ho acquisito una consapevolezza: tornare indietro non si può. 

Il passato è una terra straniera recitava il titolo di un romanzo di Gianrico Carofiglio e come tale dovremmo considerarlo: qualcosa che forse ci è appartenuto e non ci appartiene più, qualcosa su cui non abbiamo alcun potere e su cui è assolutamente inutile rimuginare, a meno che non ci si voglia fare del male. Lasciarlo nei ricordi e farci pace, pensando che se nel passato abbiamo fatto determinate scelte erano quelle giuste da fare in quel momento e in quelle condizioni.

Se ci ragioniamo, il passato sembra bello perché, come la psicologia ci insegna, quanto più ci si allontana da qualcosa tanto più i suoi contorni appaiono sfumati e quindi, leopardianamente, entra in gioco l'immaginazione che è un'àncora di salvezza in una vita che può apparirci brutta se non abbiamo memoria del passato e la speranza nel futuro. Se però pensiamo che il presente è l'unico dei tempi su cui possiamo davvero agire - non il passato che è ormai archiviato, non il futuro che è fuori dal nostro controllo anche se ci piace tanto progettare - allora potremo finalmente svincolarci dalla nostalgia dei tempi andati.

Il paragone passato-presente, la nostalgia del passato, il ricordo dei tempi in cui credo sia uno dei luoghi comuni più tossici che possano esistere.
Questo non vuol dire rinnegare il passato o svalutare il ricordo - che, laicamente, è l'unica cosa che ci rende realmente immortali - ma significa non diventare schiavi del tempo che fu.

Stevie Wonder, Pastime paradise 

09 aprile 2023

Compiti per le vacanze

Ogni anno, più volte all'anno si ripete la stessa storia.

Nei momenti di interruzione della scuola c'è qualche maestro/maestra/professore/professoressa che - wow che cosa innovativa! - dà ai suoi studenti una lista di compiti per le vacanze che non prevede compiti, ma attività all'aperto, sorrisi e tanto amore.

Ovviamente la lettera diventa virale (termine che, personalmente, ho iniziato a detestare quasi quanto detesto resilienza), le testate giornalistiche ne parlano, pubblicando articoli su facebook e lì si scatena la solita massa indistinta di commenti che potremmo riassumere in quattro categorie:

1. chi ha proposto questa lista merita la presidenza del mondo.

2. ai miei tempi non era così.

3. così facendo i gggiovani smettono di studiare e poi è normale che chiedano il reddito di cittadinanza.

4. pecore, vi siete fatti inoculare il siero e ora ne pagate le conseguenze.

Internet è quel mondo meraviglioso in cui la gente scrive compulsivamente spesso senza avere la minima idea di aver già commentato più e più volte la stessa cosa e ancora più spesso senza avere la minima competenza nell'argomento di cui si sta parlando.

Andando a riguardare nel mio bravo archivio da ossessivo compulsivo, ho ritrovato questa mail che avevo scritto ai miei studenti ormai 7 anni fa, al presentarsi di una di queste liste di compiti (in quell'occasione erano indicazioni per l'estate):

Non credo che invitarvi a ballare o dire ad una persona che la amate sia un compito da dare per l’estate perché, come si diceva ieri, sono consigli che valgono per tutte le stagioni, a maggior ragione di inverno, quando tutto (la scuola, il clima, le giornate brevi) sembra tramare contro la nostra felicità; mi sembra giusto, tuttavia, condividere con voi qualche spunto di riflessione a cui dedicare in estate quel tempo che non avete durante l’inverno.

Ci sono alcuni diritti che non dobbiamo dimenticare:
  • il diritto alla noia: non è un male annoiarsi; la noia può spingerci a vagare con la mente in luoghi lontani dove non arriveremo mai se avremo sempre qualcosa da fare
  • il diritto all’assenza: il nostro presenzialismo 24 ore su 24 su social network, whatsapp e compagnia bella non deve essere una schiavitù. La sensazione di non esistenza che possiamo provare se rimaniamo off line per un po’ è comprensibile, ma ricordiamo sempre di curare i nostri rapporti con l’unica persona che non ci abbandona mai: noi stessi.
  • il diritto al silenzio: non dobbiamo sempre per forza avere qualcosa da dire su qualunque argomento. Può esserci anche qualcosa che non conosciamo (e che, legittimamente, non ci interessa di conoscere) e su cui non abbiamo un parere: non parlare non vuol dire per forza non esserci o essere ignavi.
Dovremmo imparare a goderci i momenti che viviamo, senza aspettare il futuro che verrà: questo non vuol dire non avere aspirazioni o non lottare per raggiungerle, ma significa semplicemente che il tempo in cui noi viviamo è il presente, né il passato né il futuro, ed è di questo presente che dobbiamo avere cura. Se sono ad un concerto, devo perdermi con la mente e con il corpo nella musica che ascolto; se sto per mangiare una buonissima pizza, preparo i miei sensi ad assaporarla; se vivo una bella esperienza, cerco di memorizzarne tutti i particolari per poi poterli condividere di persona con i miei amici, parlando con loro, guardandoli negli occhi. Se ho già condiviso tutto sui social network, di cosa parlo con i miei amici? Di poco e nulla e perciò passo  le mie serate con loro a guardare ciò che altri stanno condividendo in quel momento e così via…

Non cambierei una virgola rispetto a quello che ho scritto allora.
Ecco il vantaggio delle liste di compiti riciclate da una vacanza all'altra: permette anche di riciclare le cose già scritte.

*Temo le liste di compiti anche quando portano i doni.
È una citazione virgiliana storpiata con una buona dose di latinorum. Come dice la Treccani alla voce Timeo Danaos et dona ferentes: "Parole che Virgilio (Eneide II, 49) fa pronunciare a Laocoonte, quando vuol dissuadere i Troiani dall’accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci. Si ripete, talvolta in tono scherzoso, per esprimere diffidenza verso chi non si reputa amico, e che fa offerte e proteste di amicizia.



02 aprile 2023

52' 50"

"Profe, sinceramente, lei li ha mai visti i nostri profili sui social?"

Budapest, circa le 3 di venerdì mattina, sulla strada del ritorno verso l'albergo dopo una lunga serata, una studentessa mi rivolge questa domanda,
No, non li ho mai visti.
Mi sto ancora interrogando su ciò che è successo circa mezz'ora prima quando, improvvisamente, mi sono trovato a giocare a biliardino con tre sconosciuti ragazzi ungheresi (esultando poi in maniera scomposta per aver difeso l'orgoglio patriottico ed aver portato la mia squadra alla vittoria) quando parte una riflessione sul modo che loro hanno di apparire: non è vera l'immagine che danno di sé su Instagram o su Tik Tok almeno quanto non è vera l'immagine che danno di sé a scuola,  da una parte sempre sorridenti, dall'altra perennemente imbronciati. 

Ho avuto il privilegio di poterli vedere in gita quando, liberi da molti degli schemi e dei condizionamenti che si portano dietro, si sono mostrati per quello che sono ed è stato bello chiacchierare con loro che hanno affogato le proprie ansie da Esame di Stato in una piscina di acqua termale e che mi hanno rivelato - come reati ormai caduti in prescrizione - una minima parte dei trucchi usati in DAD per affrontare compiti e interrogazioni. E poi hanno fatto domande sulla mia vita, su cosa mi abbia spinto a diventare un insegnante e mi hanno chiesto stupiti: "Ma davvero lei, profe, si alza ogni mattina contento di fare questo lavoro?". Non potevano crederci, così come sembrava loro strano il fatto che io non avessi pagato la gita: cioè, nella loro ingenuità pensavano che qualcuno fosse disposto a pagare per vivere 5 giorni di ansia allo stato puro avendo nelle mani la sorte di venti adolescenti.

E poi c'è stato un continuo ironizzare sulla mia età ("profe, non si preoccupi, a lei non chiederanno la carta di identità per entrare nei locali") e sul mio essere un boomer (cosa di cui vado anche discretamente orgoglioso, almeno fino a quando non scriverò AMEN sotto i post pseudoreligiosi che circolano su facebook o non saluterò tutti con improbabili foto di tazzine di caffè accompagnate da un BUONGIORNISSIMO dai colori sgargianti),

Finalmente liberi di parlare e di essere, elettrizzati all'idea di essere fuori dall'Italia e di godere di quella sensazione di leggerezza, di quell'ansia di conoscere qualcosa di nuovo; usare i fiorini ungheresi facendo perennemente confusione sul cambio; mangiare in uno tra i più bei Mc Donald's al mondo accanto ad una stazione costruita da Eiffel senza capire assolutamente nulla di quello che c'è scritto dato che è tutto maledettamente scritto in ungherese; urlare canzoni italiane nell'attesa dell'arrivo del mezzo pubblico. E tanto tanto altro.

E poi Mattia Corvino in ogni angolo della città, il ricchissimo parlamento ungherese (e un rotolo di carta igienica su cui, tra mille parole in lingua locale, era scritto anche il nome di Orban e suppongo che non fossero complimenti), un pezzo del muro di Berlino a cui una mia studentessa si è appoggiata inconsapevole di essersi accasciata su un pezzo di storia, il vento freddo, i danni del Comunismo e la statua che sembra di Dante ma che non è di Dante.
Insomma, siamo tornati tutti vivi, tutti più ricchi, tutti un po' più sereni (almeno per un po'). E personalmente, anche grato a tutti quelli che hanno condiviso l'esperienza con me, da vicino e da lontano.

Ma soprattutto ho acquisito una nuova consapevolezza: una visita guidata che dura un'ora è troppo lunga; una visita durata che dura 45 minuti è troppo breve. Da ciò si deduce che la durata ideale è di 52' e 50".

Jackson Browne, The road

Di liceo classico e brain rot

Dicembre, andiamo! È tempo di orientare. Il buon Gabry (D'annunzio) non mi maledirà se uso il verso di una sua poesia che avevo studiato...