Ogni anno, più volte all'anno si ripete la stessa storia.
Nei momenti di interruzione della scuola c'è qualche maestro/maestra/professore/professoressa che - wow che cosa innovativa! - dà ai suoi studenti una lista di compiti per le vacanze che non prevede compiti, ma attività all'aperto, sorrisi e tanto amore.
Ovviamente la lettera diventa virale (termine che, personalmente, ho iniziato a detestare quasi quanto detesto resilienza), le testate giornalistiche ne parlano, pubblicando articoli su facebook e lì si scatena la solita massa indistinta di commenti che potremmo riassumere in quattro categorie:
1. chi ha proposto questa lista merita la presidenza del mondo.
2. ai miei tempi non era così.
3. così facendo i gggiovani smettono di studiare e poi è normale che chiedano il reddito di cittadinanza.
4. pecore, vi siete fatti inoculare il siero e ora ne pagate le conseguenze.
Internet è quel mondo meraviglioso in cui la gente scrive compulsivamente spesso senza avere la minima idea di aver già commentato più e più volte la stessa cosa e ancora più spesso senza avere la minima competenza nell'argomento di cui si sta parlando.
Andando a riguardare nel mio bravo archivio da ossessivo compulsivo, ho ritrovato questa mail che avevo scritto ai miei studenti ormai 7 anni fa, al presentarsi di una di queste liste di compiti (in quell'occasione erano indicazioni per l'estate):
- il diritto alla noia: non è un male annoiarsi; la noia può spingerci a vagare con la mente in luoghi lontani dove non arriveremo mai se avremo sempre qualcosa da fare
- il diritto all’assenza: il nostro presenzialismo 24 ore su 24 su social network, whatsapp e compagnia bella non deve essere una schiavitù. La sensazione di non esistenza che possiamo provare se rimaniamo off line per un po’ è comprensibile, ma ricordiamo sempre di curare i nostri rapporti con l’unica persona che non ci abbandona mai: noi stessi.
- il diritto al silenzio: non dobbiamo sempre per forza avere qualcosa da dire su qualunque argomento. Può esserci anche qualcosa che non conosciamo (e che, legittimamente, non ci interessa di conoscere) e su cui non abbiamo un parere: non parlare non vuol dire per forza non esserci o essere ignavi.
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