Ultimamente latito.
Latito sul blog, latito sui miei boomerissimi social ma faccio della latitanza uno stile esistenziale.
Latito perché mi deludono le persone, nel cui valore continuo ingenuamente a credere; latito perché mi deludono le situazioni in cui mi trovo e per modificare le quali mi scopro impotente; latito perché mi interrogo su quello che faccio, sul modo in cui lo faccio e perché magari se avessi aperto una pompa di benzina ora sarei più felice.
Latito perché mi sembra difficile trovare un codice condiviso per comunicare e la frustrazione di non riuscire a farlo è tale e tanta che mancano le parole: ironico, no? Mi mancano le parole per dire che non riesco a parlare.
Ci sono, esisto ma sono come il sonnambulo delle poesie di Sbarbaro e al momento le visioni salvifiche in grado di risvegliarmi dal torpore sono lontane e sfocate.
Avrei tante cose da dire, sulla necessità di normalizzare le lacrime al pari della risata: cosa c’è di più vergognoso nel piangere davanti agli altri rispetto al ridere? Il riso - dice Umberto Eco nel romanzo “Il nome della rosa - squassa il corpo, deforma i lineamenti del viso, rende l’uomo simile alla scimmia. E le lacrime? Ci mostrano deboli, umani, sono sconvenienti perché fanno l’effetto del sangue sugli squali. Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire “non piangere”? Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire “non ridere”?
Avrei tante cose da dire sui bei libri che ho letto e sto leggendo (e sulla ritrovata voglia di leggere) nonché sulla bellezza di tornare finalmente a viaggiare, a scoprire lingue e fisionomie nuove, a scoprire che gli svedesi hanno la å che somiglia terribilmente ad una vocale tipica di Bari.
E invece non ho voglia.
La voglia tornerà, tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose e forse un po’ di pace tornerà. Nel frattempo sto e confido nel fatto che questo non sia tempo perso, ma sia tempo guadagnato, tempo di riflessione fruttifera su me stesso e non semplicemente un guardarsi il proprio ombelico aspettando che passi la tempesta e arrivi la quiete (che in realtà è solo l’attesa di un’altra tempesta).
Simon&Garfunkel, The sound of silence