30 novembre 2022

Latito

Ultimamente latito.

Latito sul blog, latito sui miei boomerissimi social ma faccio della latitanza uno stile esistenziale.

Latito perché mi deludono le persone, nel cui valore continuo ingenuamente a credere; latito perché mi deludono le situazioni in cui mi trovo e per modificare le quali mi scopro impotente; latito perché mi interrogo su quello che faccio, sul modo in cui lo faccio e perché magari se avessi aperto una pompa di benzina ora sarei più felice.

Latito perché mi sembra difficile trovare un codice condiviso per comunicare e la frustrazione di non riuscire a farlo è tale e tanta che mancano le parole: ironico, no? Mi mancano le parole per dire che non riesco a parlare.

Ci sono, esisto ma sono come il sonnambulo delle poesie di Sbarbaro e al momento le visioni salvifiche in grado di risvegliarmi dal torpore sono lontane e sfocate.

Avrei tante cose da dire, sulla necessità di normalizzare le lacrime al pari della risata: cosa c’è di più vergognoso nel piangere davanti agli altri rispetto al ridere? Il riso - dice Umberto Eco nel romanzo “Il nome della rosa - squassa il corpo, deforma i lineamenti del viso, rende l’uomo simile alla scimmia. E le lacrime? Ci mostrano deboli, umani, sono sconvenienti perché fanno l’effetto del sangue sugli squali. Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire “non piangere”? Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire “non ridere”?

Avrei tante cose da dire sui bei libri che ho letto e sto leggendo (e sulla ritrovata voglia di leggere) nonché sulla bellezza di tornare finalmente a viaggiare, a scoprire lingue e fisionomie nuove, a scoprire che gli svedesi hanno la å che somiglia terribilmente ad una vocale tipica di Bari.

E invece non ho voglia.

La voglia tornerà, tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose e forse un po’ di pace tornerà. Nel frattempo sto e confido nel fatto che questo non sia tempo perso, ma sia tempo guadagnato, tempo di riflessione fruttifera su me stesso e non semplicemente un guardarsi il proprio ombelico aspettando che passi la tempesta e arrivi la quiete (che in realtà è solo l’attesa di un’altra tempesta).

Simon&Garfunkel, The sound of silence




2 commenti:

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