È dei giorni scorsi la circolare con cui il Ministro dell'Istruzione invita a vietare i cellulari anche nelle scuole secondarie di secondo grado, alla luce di studi che dimostrano quanto sia dannosa la dipendenza da smartphone negli adolescenti e quanto possa ledere alle loro capacità cognitive. Fatte salve alcune eccezioni, quindi, studentesse e studenti dovranno rinunciare ai propri dispositivi per tutto il tempo scuola.
Se da un lato il provvedimento ha sicuramente ragione di esistere, dall'altro non può non suscitare domande a cui - beninteso - è difficile dare una risposta certa e universalmente valida.
In primo luogo - e qui rubo una frase di una fra i miei pupilli con cui qualche giorno fa si affrontava l'argomento - dovremmo chiederci quale sia il ruolo della scuola: educare o imporre? Etimologicamente, quindi, la scuola deve tirare fuori ciò che nelle ragazze e nei ragazzi c'è già o dare delle regole a cui obbedire ciecamente, senza abituare ad esercitare lo spirito critico?
Certo, ogni tanto è forte la tentazione di dettare delle regole e, di fronte alle spiegazioni, usare il latino come fa Don Abbondio con Renzo; alcune volte, forse, è anche indispensabile, quando si tratta di norme rispetto alle quali non può e non deve esserci discussione.
Ci sono, però, casi - e questo è uno di quelli - in cui il confronto è fondamentale: educare ad un uso consapevole della tecnologia, insegnare a guardarsi fisicamente attorno e a confrontarsi con chi ha una consistenza reale, far vedere a ragazze e ragazzi che ci sono altri modi per cercare informazioni è sicuramente più faticoso e meno immediato rispetto a vietare l'uso dello strumento, ci espone a confronti serrati, ma permette poi di arrivare a soluzioni più o meno condivise che suonano - comunque - più accettabili rispetto ad un generico non si fa.
Sul discorso della distrazione ci sarebbe una lunghissima parentesi da aprire: quando andavo a scuola non avevo ovviamente lo smartphone ma questo non mi impediva di distrarmi, leggendo le battute sulla Smemoranda, guardando fuori dalla finestra, chiacchierando con compagni vicini e lontani. La distrazione, il desiderio di essere altrove è proprio dell'età e solo in parte è legato al discorso della tecnologia.
Non credo, inoltre, che questa decisione possa risolvere i problemi di dipendenza dal cellulare: concluse le 5 o 6 ore di scuola, gli smartphone si riaccenderanno e - in mancanza di educazione digitale - continueranno ad essere usati allo stesso modo in cui venivano utilizzati prima del divieto. Sembra, quindi, solo un modo per allontanare - almeno formalmente - il problema dall'istituzione scolastica che, in questo modo, si pulisce la coscienza.
E poi mi chiedo un'altra cosa: agli adulti è tutto concesso? È concesso usare male i social media per diffondere odio e farsi megafono di fake news? È concesso passare del tempo sul posto di lavoro a fare acquisti o a scegliere la meta per le prossime vacanze? Il problema sono davvero solo gli adolescenti?
Qualora questo provvedimento dovesse effettivamente prendere corpo, credo che sarei il primo - indipendentemente da quanto poi verrà stabilito a livello centrale - a privarmi del cellulare durante l'intero orario di lavoro, non fosse altro che per una questione di equità e di coerenza rispetto a chi di questo strumento viene privato.
Resta il fatto che mi sembra un modo furbo di mettere la polvere sotto il tappeto per dare la parvenza di una stanza perfettamente pulita.
Delta V, Se telefonando
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