01 dicembre 2024

Guido, Camillo e l'amore

Guido parte da Firenze, mentre Camillo parte da Santa Margherita Ligure.
Li separano circa 225 km, facilmente percorribili con due autostrade.
Li separano anche circa 600 anni, e questo è un ostacolo un po' più difficile da superare, finché qualcuno non inventerà una macchina del tempo.
Ogni tanto, nel boschetto della mia fantasia (solo i migliori coglieranno questa citazione altissima), mi piace far incontrare persone distanti nel tempo e nello spazio, farli dialogare, far sentire loro che non sono soli, che il loro pensiero è condiviso e che esistono altre angolazioni per vederlo.
Ho dimenticato di dire i cognomi di Guido e Camillo: parlo di Cavalcanti e di Sbarbaro.

Guido Cavalcanti, amico fraterno di Dante (che non per questo gli risparmia l'Inferno... vai a fidarti del nasone), poeta stilnovista, uno di quelli che credeva che amare fosse un mezzo per elevare il proprio spirito, ma anche che l'amore fosse una delle esperienze più traumatiche per l'uomo, scrive questo:

Tu m’ài sì piena di dolor la mente
che l’anima si briga di partire,
e li sospir che manda il cor dolente
mostrano a li occhi che non pon soffrire.

Amor, che lo tuo grande valor sente,
dice: — mi duol che ti convien morire
per questa fera donna, che niente
par che pietade di te voglia udire.

Io vo come colui ch’è fuor di vita,
che pare, a chi lo sguarda, c’omo sia
fatto di rame o di pietra o di legno,

che sè conduca sol per maestria,
e porti ne lo core una ferita
che sia, com’egli è morto, aperto segno.

La donna fiera, crudele, che non vuole sentire parole di pietade , di compassione sull'uomo che la ama, ha riempito a tal punto l'uomo di sofferenza che l'unico desiderio che l'uomo è in grado di concepire è la morte. L'uomo - cosa rara nella poesia dell'epoca - si rivolge con il tu alla donna (che solitamente era la signora a cui rivolgersi con il voi) e questo dimostra la condizione disperata dell'uomo che ormai non è più in grado di ragionare lucidamente e non può far altro che sospirare, ovvero rinunciare alla comunicazione verbale, affidando ad un fiato ciò che vorrebbe dire.
Ormai l'uomo è una statua di rame, di pietra o di legno, è fuor di vita, è un morto che cammina, che si conduce solo per maestria, come fosse una marionetta o un robot e mostra, attraverso la ferita che porta nel cuore, che la sua morte è dovuta all'amore.
Una visione tragica, devastante: andrebbe detto a chiare lettere - come sui pacchetti di sigarette - che l'amore nuoce gravemente alla salute e che porta alla morte.

Ci spostiamo nel 1914. Circa 600 anni dopo i versi di Cavalcanti, Camillo Sbarbaro - uno dei miei poeti preferiti del primo Novecento ma citato solo di sfuggita nei testi di letteratura, chissà perché - capovolge completamente il punto di vista.
Sbarbaro scrive questi versi:

Io che come un sonnambulo cammino
per le mie trite vie quotidiane,
vedendoti dinanzi a me trasalgo.

Tu mi cammini innanzi lenta come
una regina.
Regolo il mio passo
io subito destato dal mio sonno
sul tuo ch’è come una sapiente musica.
E possibilità d’amore e gloria
mi s’affacciano al cuore e me lo gonfiano.
Pei riccioletti folli d’una nuca
per l’ala d’un cappello io posso ancora
alleggerirmi della mia tristezza.
Io sono ancora giovane, inesperto
col cuore pronto a tutte le follie.

Una luce si fa nel dormiveglia.
Tutto è sospeso come in un’attesa.
Non penso più. Sono contento e muto.
Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.

Basterebbe l'ultimo verso a farci innamorare di questa poesia: batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
Da una condizione di sonnambulismo, dal percorrere le solite vie, l'uomo passa a concepire possibilità d'amore e gloria, si alleggerisce della sua tristezza e smette di pensare. E tutto questo avviene grazie alla donna, ai suoi riccioletti folli: ci sembra quasi di immaginare la scena. L'uomo trasale vedendola dinanzi a sé: la vede di spalle, vede i suoi capelli, il suo cappello, sente il suo passo lento e regale. Improvvisamente il suo mondo si illumina e torna a vivere, il cuore torna a battere; l'uomo è muto, ma, pur simile, la sua condizione è diversa da quella descritta da Cavalcanti perché cambia radicalmente il segno dell'esperienza.

Mi piace immaginarli, Guido e Camillo, che, mentre mangiano una Rustichella in un rumoroso autogrill sulla A12 discutono su cosa sia l'amore.

I giganti, Tema

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