08 ottobre 2023

Quello che serve davvero

L. decora i suoi polsi con una lametta.
Lo avevo notato già lo scorso anno: il segnale più evidente erano le maniche lunghe messe anche con il caldo torrido, sostituite solo ogni tanto da una bandana posta lì dove ci sono i tagli ma non si devono vedere.
L'ho visto l'altro giorno quando è stata seduta per un po' alla cattedra vicino a me mentre riflettevamo insieme su un testo - pieno di rabbia - che aveva scritto. Guardavo quei segni senza sapere minimamente come comportarmi: L sa che noi sappiamo ma partire con la paternale mi è sembrato tanto inutile quanto controproducente, così come lo sarebbe stato porre la domanda più semplice del mondo, ovvero "Perché?".
L'istinto sarebbe stato quello di abbracciarla, ma non è opportuno per cui mi sono limitato a parlare del suo testo, aspettando invano che lei mi dicesse qualcosa.

L. si mostra sicura di sé.
Si parlava in classe di Calipso e cercavo di farli immedesimare nella psicologia di una persona che sente di avere dei meriti nei  confronti di qualcuno che ama e che è pronta ad offrire il dono più grande che si possa immaginare pur di trattenerlo a sé, ma, nonostante questo, non viene ricambiata.
Alza la mano per intervenire ed esordisce dicendo che a lei nessun uomo direbbe di no.
Mi viene da sorridere perché quella corazza impenetrabile serve in realtà a preservare un'anima di cristallo, che si potrebbe incrinare alla prima vibrazione.

Ho visto L., sempre lei, specchiarsi all'inizio di una lezione.
Stavo partendo con il consueto rituale di inizio lezione ("forza, aprite il libro a pagina..." seguito dall'immancabile eco "a che pagina prof?", "quale libro?" "profe, ma io non ce l'ho") e avrei voluto ricordarle che non siamo in un salone di bellezza e che certe cose non si fanno a scuola e che bisogna avere rispetto e blablabla. Mi è bastato rivolgerle uno sguardo di disappunto dei miei e lei, che coglie perfettamente anche il non detto, ovviamente dopo aver finito di dedicarsi a sé stessa mi dice: "Ma se io non mi sento a posto, non riesco a concentrarmi sulla lezione".

Era una banale scusa? Forse sì, ma non ne sono certo.
Sta di fatto che il libro appena aperto è stato chiuso e abbiamo parlato di narcisismo, di quanto sia importante l'immagine e di quanto il modo in cui ci vedono gli altri  - o, ancora meglio, il modo in cui pensiamo che gli altri ci vedano - possa incidere sul nostro atteggiamento, sulla considerazione che abbiamo di noi stessi e, addirittura, sulle nostre capacità cognitive.
Ho confessato la mia incapacità di capire a fondo questa esigenza perché non l'ho mai realmente intimamente condivisa, dato che non ho mai pensato che l'aspetto esteriore potesse essere un mio punto di forza (anzi, l'ho ritenuto per molto tempo uno dei miei nemici più accaniti), ma allo stesso tempo ho cercato di ascoltare il più possibile le loro parole per trovare una chiave, uno spiraglio per cogliere qualcosa in più di loro e della loro vera essenza, al di là degli atteggiamenti.

Il suono della campanella ha decretato la fine dell'ora a nostra disposizione con la solita promessa di riprendere il discorso in un altro momento ma lo so io e lo sanno loro che probabilmente questo non succederà perché, al di là del tempo, per parlare e andare in profondità è necessaria una predisposizione d'animo da parte di tutti, una comune volontà di ascolto e di condivisione che non sempre c'è perché siamo esseri umani e funzioniamo così.
Il suono della campanella, però, non ha decretato la fine del mio perpetuo rimuginare. 

Si discute di cosa possa servire alla scuola, se n'è discusso tanto in questa settimana in occasione della giornata dell'insegnante: serve abolire i voti? serve l'orientamento? serve adeguare programmi e metodi alle nuove esigenze? serve una nuova considerazione della figura del docente, al di là delle solite accuse rivolte alla categoria di lavorare poco e lamentarsi tanto?
Non lo so. 
Quello che serve davvero è, forse, una riflessione costante sul modo migliore di educare le studentesse e gli studenti che ogni giorno abbiamo davanti agli occhi ma anche una riflessione su noi stessi, su ciò che siamo, su ciò che possiamo dare e ciò che ci aspettiamo di ricevere, per imparare ad ascoltare realmente e magari, ogni tanto, riuscire anche a dire una parola giusta. 
Riflettersi per riflettere. Esattamente come fa L. 

Subsonica, Specchio
  

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