01 ottobre 2023

La differenza tra "Come stai?" e "Tutto bene?"

Non è un vezzo linguistico.
Non è una delle mie (pur tantissime) fissazioni.
Non è affatto la stessa cosa.
Chiedere "come stai?" è profondamente diverso da chiedere "tutto bene?".

A chi mi chiede "Come stai?" so che potrò dire la verità: penso che chi lo chiede ci tenga a te, sia disposto a condividere anche i tuoi problemi senza sovrastarti con i suoi che sono sempre, a suo dire, più gravi.
Non cerca di darti soluzioni, ma offre ascolto e comprensione (e quanto è difficile limitarsi ad accogliere l'altra persona senza porsi come l'esperto dispensatore di consigli non richiesti).
"Come stai?" lascia spazio al confronto, al dialogo.

"Tutto bene?", invece, ha per me il sapore di un convenevole, di una domanda posta di corsa e la cui risposta è indifferente; sembra quasi una domanda retorica, che indirizza l'interlocutore su una strada fatta di sorrisi di cortesia e di tristezza repressa. Quando, poi, mi viene posta quando sono visibilmente alterato, ha per me lo stesso effetto rasserenante di un fazzoletto rosso sventolato davanti al muso di un toro.
Chi avrebbe mai il coraggio di rispondere "No"?
"Tutto bene" è un quiz a risposta multipla con una sola opzione corretta.

Io ogni mattina ci provo.
"Buongiorno, ragazze! Buongiorno, ragazzi! Come state?" è il mio esordio in classe, il mio grido di battaglia, un po' come Allegria di Mike Bongiorno o come i capra capra capra di Vittorio Sgarbi.
Solitamente la prima risposta è un mugugno indistinto, uno sguardo assente e fugace ottenuto sollevando gli occhi assonnati dal cellulare; una domanda mai espressa a voce alta serpeggia nell'aula: ma questo cosa vuole?
Però poi succede che qualcuno percepisce che quella domanda non è un modo per prendere tempo o per rimandare l'inevitabile lotta quotidiana con il registro elettronico e con la password perennemente dimenticata, ma un modo per entrare in contatto, per dire che ci sono e che mi interessa la loro vita anche al di là dei libri da leggere e dei compiti da svolgere.

Non sono così illuso da attendere una risposta, ma più di una volta, in quella selva di occhi, ho trovato il barlume di chi magari aspettava che qualcuno ponesse quella domanda; sicuramente non sentirò la voce di chi parla apertamente di sé, delle sue tristezze e delle sue felicità, ma ho visto in tanti anni più di qualcuno avvicinarmisi timidamente alla prima occasione utile, aspettando di sentirsi porre nuovamente quella domanda per parlare di sé, di cosa lo affligge, di cosa lo rasserena.

Magari mi sbaglio, ma è un piccolo gesto per essere un po' più umani. 
 

Brunori Sas, Come stai

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