Ma esiste davvero, agosto?
E dove si nasconde
quando agosto non è?
quando agosto non è?
Rileggevo l'altro giorno questi versi di Valerio Magrelli, mio guru poetico, contenuti nella sua più recente raccolta poetica, "Exfanzia", pubblicata da Einaudi nel 2022.
Leggevo e pensavo a questo mese crudele, che acuisce le differenze e la solitudine, dietro una facciata sfacciatamente sorridente.
Pensavo a questo mese di vacanza ma anche alla furia classificatoria di cui ultimamente siamo vittime.
Ho letto della staycation e ho iniziato ad avvertire come un prurito, un leggero brivido che ha attraversato la mia spina dorsale in tutta la sua lunghezza.
Ma cos'è la staycation?
È banalmente un modo piuttosto figo - perché l'inglese fa sempre figo - per indicare che si passano le vacanze a casa perché non si hanno soldi da spendere.
Sapere che si fa parte del 25% di italiani che in estate non va da nessuna parte forse ci fa sentire meno soli o meno inadatti: la situazione in cui ci trova non diventa certamente meno deprimente ma, classificati in questo modo, ci sentiamo parte di un gruppo che ha un proprio nome, è socialmente riconosciuto e quindi accettato e - se ben infiocchettato - anche desiderabile perché permette di perseguire quella vita lenta - altra espressione che fa tanto Instagram; inoltre la staycation permette anche, a chi lo voglia, di ergersi moralmente al di sopra di chi va in luoghi vittime dell'overtourism (altro problema davvero serio che però sta diventando una lotta da social e, quindi, svuotata dall'interno) e di ridere delle lacrime dei balneari per la stagione di stenti e privazioni che stanno attraversando.
Quindi la forma modifica la sostanza e fa diventare cool una situazione che spesso capita per motivi indipendenti dalla volontà di chi si trova a viverla.
Avere un etichetta da metterci addosso, come prodotti da supermercato, ci fa sentire parte di un gruppo e il paradosso è che in un'epoca di individualismo sfrenato come quella che stiamo attraversando sembra che non possiamo vivere se non siamo all'interno di contesti ben definiti.
Novelli Adamo, diamo un nome a tutto: ad ogni nuova tendenza, ogni nuovo genere musicale, ogni sentimento, ogni modo di pensare, di mangiare, di vivere diamo un nome. E se da una parte è positivo - perché le cose iniziano ad esistere quando vengono nominate - dall’altra capita di dare la dignità dell’esistenza a cose che potrebbero e dovrebbero anche scomparire velocemente.
Irrefrenabili Linneo, classifichiamo tutto e, classificando, semplifichiamo e, semplificando, ci disabituiamo alla complessità e alla diversità.
Tutto deve rientrare in schemi fissi, moltiplicabili all'infinito ma inesorabilmente fissi; ciò che non rientra in categorie già esistenti, crea una categoria a sé con le proprie definizioni e i propri limiti. Cerchiamo affannosamente una categoria in cui rientrare, in cui riconoscerci e siamo disposti a limarci, a modificarci pur di rientrare negli standard di quella precisa categoria.
E mi vengono in mente le parole di Italo Svevo che nel saggio L’uomo e la teoria darwiniana scriveva questo:
“Nella maggioranza degli uomini lo sviluppo per loro fortuna e per fortuna dell’ambiente sociale, s’arresta. Lo sviluppo eccessivo di qualità inferiori, tutte quelle che immediatamente servono alla lotta per la vita, non sono altro che arresto di sviluppo. [...]. Io credo che l’animale più capace ad evolversi sia quello in cui una parte è in continua lotta con l’altra per la supremazia, e l’animale, ora e nelle generazioni future, abbia conservata la possibilità di evolversi da una parte o dall’altra in conformità a quanto gli sarà domandato dalla società di cui nessuno può ora prevedere i bisogni e le esigenze. Nella mia mancanza assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso io sono quell’uomo. Lo sento tanto bene che nella mia solitudine me ne glorio altamente e sto aspettando sapendo di non essere altro che un abbozzo.”
Essere abbozzi di uomini, non cercare una forma fissa e soprattutto ammettere sinceramente anche a sé stessi che se non si va in vacanza magari è perché non si hanno soldi o tempo o compagnia. O, ancora meglio, sentirsi liberi di non doversi giustificare per il fatto di non essere inquadrati.
Sarà questa la libertà?
Franco Battiato, Zone depresse
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