Arriverà il giorno in cui una persona saggia e potente deciderà che l’overthinking deve essere considerato uno sport olimpico e io, quel giorno, sarò lì a battere cassa per avere tutte le medaglie che mi spettano e diventare il Michael Phelps di questa disciplina.
L’ultima mia impresa? Una riflessione sulla creazione.
Lasciamo stare il tema del chi ci ha creato (Dio, il Caso, Peppino di Capri): è una questione troppo complessa che porta con sé implicazioni religiose e scientifiche di difficile gestione.
Il dove è una variabile interessante: immagino una scena da film in cui c’è un mappamondo che gira e qualcuno bendato che punta il dito a casaccio per stabilire dove vedremo la luce per la prima volta. Che sia a Manhattan, in Botswana o a Codroipo (paese che porta con sé una maledizione per gli anagrammi) non importa a nessuno: quello è stato scelto e quello ci tocca. Il luogo di nascita ci influenza: essere più vicini ai centri di potere, ai luoghi da cui parte tutto può renderci la vita più semplice. Certo, qualora siamo nati altrove, nessuno ci vieta di spostarci, ma dovremo sempre considerare che a questo si accompagnerà un senso di sradicamento, di nomadismo, velato di un senso di colpa difficilmente eliminabile.
Pensiamo al come, piuttosto: usando una terminologia da informatici, noi abbiamo un hardware e un software: il primo è il nostro corpo, il secondo la nostra mente.
Quando si assembla un qualunque oggetto, ci possono essere difetti di fabbrica e così anche nell’uomo. Comincio io: ho occhi da vecchio, spalle strette e fianchi larghi, disposizione tricotica piuttosto bislacca. Niente di invalidante, per carità, ma comunque piccole cose con cui fare i conti e che devi imparare ad accettare.
Più interessante il software: tutti abbiamo un file del tipo sopravvivenza.exe dopodiché il resto della programmazione dipende dall’ambiente in cui viviamo e, solo in un secondo momento, da noi.
Nascere in un dato ambiente culturale o sociale, nascere ricchi o poveri, nascere sotto le bombe o nella bambagia fa la differenza; essere circondati di persone e di affetto, avere a disposizione tanti libri o non averne nessuno, avere una strada già segnata da seguire, dover lavorare per sopravvivere o poter contare sui soldi di mamma e papà fa la differenza. Su tutto questo non abbiamo alcun potere: con un termine altamente scientifico, l’insieme delle condizioni che determinano il nostro punto di partenza si può definire culo.
A questo punto entriamo in gioco noi.
Con una sorta di effetto farfalla ogni azione che abbiamo compiuto, ogni scelta che abbiamo fatto, ogni parola che abbiamo scelto di pronunciare o di tacere ha condizionato il nostro futuro: se, ad esempio, nel 1986 avessi condiviso la merenda con il mio compagno di banco, ora potrei essere multimiliardario; se avessi detto a quella persona ciò che pensavo veramente, ora la mia vita sarebbe altrove o magari non esisterei più.
Ovviamente, quando agiamo, è impossibile immaginare tutte le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni: scegliamo ciò che ci sembra migliore in quel momento ignorando dove ci porterà l’azione compiuta.
Va anche detto che la nostra possibilità di scelta non è infinita e siamo messi, talvolta, di fronte a muri invalicabili che condizionano inevitabilmente la nostra vita: quando si dice che impegnandosi si può ottenere qualunque cosa si voglia, in realtà si mente perché non si tiene conto delle condizioni di partenza o, comunque, di quelle che esulano dalle nostre possibilità. Machiavellianamente, si può avere tutta la virtù che si vuole, ma se manca la fortuna le nostre capacità, pur eccezionali, sono destinate a rimanere inespresse.
Penso a Sliding doors, un film che ha segnato la mia generazione e mi soffermo a riflettere su quante volte, dopo aver metaforicamente preso o perso un treno, ho pensato a cosa sarebbe successo se avessi fatto la scelta opposta. Si entra in un labirinto in cui non c'è Arianna che tenga. L'unico filo che salva è la convinzione di fare la cosa giusta (dove giusto non è inteso in senso morale, quanto piuttosto nel senso di giusto per noi in quel momento) e il pensiero che guardare la vita degli altri e paragonarla alla propria ha poco senso perché ognuno vive in condizioni proprie, fa scelte che altri sono precluse, si perde in un ginepraio che, spesso, è solo il proprio.
Caparezza, La scelta
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