Qualcuno potrebbe pensare che il post sia un omaggio a Rimbaud, il poeta con il cognome la cui pronuncia mette in difficoltà chiunque non abbia un dottorato in letteratura francese (quasi come la pronuncia di enjambement).
Qualcun altro potrebbe credere più realisticamente, conoscendomi, che io stia celebrando il ritorno de "La ruota della fortuna" su Canale 5 (ma quanto ci piace il vintage?).
E invece no.Aristotele, nella Metafisica diceva: "πάντων γὰρ ὅσα πλείω μέρη έχει καὶ μὴ ἔστιν οἶον σωρὸς τὸ πᾶν ἀλλ᾽ἔστι τι τὸ ὅλον παρὰ τὰ μόρια, ἔστι τι αἴτιον" e chi siamo noi per dargli torto?
Ma facciamo un passo indietro.
Ci stiamo confrontando in classe sul racconto Il corridoio del grande albergo di Buzzati (sì, sempre lui) che racconta la storia (che si può leggere qui) di un uomo alto e barbuto che, di notte, in un albergo, esce dalla propria stanza per andare nel bagno che si trova nel corridoio; vedendo, però, un uomo in tutto e per tutto uguale a lui che, a propria volta, si sta recando alla toilette, decide di desistere e di aspettare di essere solo per poter assecondare i suoi bisogni fisiologici. Questa solitudine - purtroppo - tarda ad arrivare.
Dopo aver fatto la mia filippica sull'hotel come luogo inquietante per eccellenza e aver citato l'inarrivabile Shining, dopo esserci interrogati su quanto sia pericoloso l'albergo in quanto, dormendo lì, ci mettiamo nella massima condizione di vulnerabilità in un luogo a noi estraneo e insicuro (e so che dopo questa affermazione la Federalberghi verrà a cercarmi sotto casa per scambiare quattro chiacchiere amichevoli), un punto ha attirato l'attenzione della nostra piccola comunità di lettori: la mancanza di dialogo.
Non c'è alcuna interazione tra i personaggi di questo racconto, che si limitano ad evitare qualunque contatto.
È stata questa l'occasione per riflettere con ragazze e ragazzi sulla difficoltà di comunicare che caratterizza - soprattutto ultimamente - l'essere umano e per verificare se davvero, come si leggeva sui giornali qualche giorno fa (ad esempio in questo articolo) i più giovani, per tenere a freno l'ansia, evitano persino di rispondere alle telefonate, preferendo la comunicazione scritta a quella a voce.
"Ma profe, non è vero! - insorge S. - Io amo i vocali, mi piace parlare"
Credevo fosse semplice - e invece non lo è stato - far capire a lei, e a chi come lei sosteneva che usare i messaggi i vocali sia equivalente a parlare, che la somma di due monologhi non è un dialogo.
Io parlo da solo, senza contraddittorio, senza poter vedere le reazioni dell'altro o - se siamo al telefono - senza ascoltare le sue obiezioni, i suoi silenzi, le sue esitazioni; concluso il mio messaggio, l'altro mi risponderà secondo le stesse modalità. Questo è assimilabile ad uno scambio di messaggi sui walkie-talkie, usando i quali ognuno deve rispettare il proprio turno per parlare: con questo strumento, però, si impartiscono ordini, si danno informazioni sulla propria posizione, certamente non si parla dei propri sentimenti.
I messaggi vocali, dunque, negano l'interazione in tempo reale e quindi non permettono che nasca un dialogo, se con questo termine si intende il frutto di uno scambio di idee, qualcosa di vivo e mutevole che permette a chi sta parlando di cambiare direzione, di adeguare le parole alla reazione dell'interlocutore, mettendo anche in campo l'empatia. Qualcosa che, quindi, è più della somma delle sue parti, come diceva il buon Aristotele citato all'inizio: a dire il vero, la traduzione esatta del testo è: "Infatti, di tutte le cose che hanno molte parti, e il cui insieme non è come un ammasso e il cui intero è qualcosa di più delle parti, c'è una causa (dell’unità)" (Aristotele, Tutte le opere, traduzione di Giovanni Reale, Rusconi, Milano, 1997³, p. 387) ma il riassunto il tutto è maggiore della somma delle sue parti è sicuramente più chiaro anche se non esaustivo. Lo ha usato anche Battiato come sottotitolo per un suo album: e di Battiato ci si fida senza discussioni (anche quando parla dell'odore che gli asparagi danno all'urina, e non sto scherzando).
Senza voler prendere la deriva dell' eh signora mia, si stava meglio quando si stava peggio, non posso non notare che in nome della comodità pian piano stiamo rinunciando all'interazione: vuoi mettere com'è comodo mandare i messaggi vocali che l'altro può ascoltare quando ha tempo? Guardare i programmi tv on demand quando ci aggrada maggiormente? Acquistare case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale senza muoversi da casa propria? Indubbiamente è comodo: ma, senza andare indietro agli anni Cinquanta del Novecento, quando le tv erano poche e guardare il Rischiatutto di Mike Bongiorno diventava un rito collettivo da celebrare nei bar, mi sembra sia evidente, per fare un esempio, il valore aggiunto che ha la visione all'unisono di uno dei pochi eventi che riesce ad ottenere ancora tanta contemporanea attenzione, ovvero Sanremo.
Ci siamo mai interrogati sul modo in cui utilizziamo il tempo e le energie non spesi nell'interazione? Che fine fanno? Non stiamo, forse, perdendo uno dei tratti della nostra umanità?
P.S. Visto che la Ringkomposition ci piace tanto, quasi quanto il vintage e che credo che una buona poesia al giorno possa essere la cura a molti mali, non posso che concludere così:
A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu: voyelles,
Je dirai quelque jour vos naissances latentes:
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,
Golfes d’ombre; E, candeurs des vapeurs et des tentes,
Lances des glaciers fiers, rois blancs , frissons d’ombelles;
I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
Dans la colère ou les ivresses pénitentes;
U, cycles, vibrements divins des mers virides,
Paix des pâtis semés d’animaux, paix des rides
Que l’alchimie imprime aux grands fronts studieux;
O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,
Silences traversés des Mondes et des Anges:
– Ô l’Oméga, rayon violet de Ses Yeux!
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
che ronzano intorno a crudeli fetori,
golfi d’ombra; E, candori di vapori e tende,
lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
nella collera o nelle ubriachezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe
che l’alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;
O, suprema Tromba piena di strani stridori,
xilenzi attraversati da Angeli e Mondi:
– O l’Omega, raggio viola dei suoi Occhi!
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
che ronzano intorno a crudeli fetori,
golfi d’ombra; E, candori di vapori e tende,
lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
nella collera o nelle ubriachezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe
che l’alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;
O, suprema Tromba piena di strani stridori,
xilenzi attraversati da Angeli e Mondi:
– O l’Omega, raggio viola dei suoi Occhi!
Franco Battiato, Un'altra vita
Oltre alla mancanza di interazione, vorrei far notare anche la perdita della memoria collettiva delle nuove generazioni. Noi, alla loro età, avevamo eventi fondanti per la costruzione della nostra identità; qui mi pare tutto un magma di istanti, di esperienze mediate, che non lasciano traccia, come un vocale a scomparsa.
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