17 marzo 2024

I ricordi sono bastardi

I ricordi sono bastardi.
Sei convinto che le cose siano andate esattamente così come la tua mente te le racconta, ma poi, razionalmente, ti rendi conto che forse non è così, che forse esiste un'altra versione che fa parte dei ricordi di qualcun altro e che ha lo stesso valore del tuo.
Nel frattempo, però, quel ricordo si è sedimentato in te e ti ha condizionato anche se non lo sai, anche se pensi di averlo rimosso: i tuoi comportamenti dipendono dalla tua versione dei fatti, che non è detto che sia vera.

Venerdì a scuola c'è stato un brevissimo laboratorio di scrittura autobiografica.
Studentesse e studenti sono stati invitati a scrivere un proprio ricordo legato alla madre, al colore rosso e alla solitudine.
Non ho fatto al momento l'esercizio, ma immediatamente è emerso un ricordo.

Sono un bambino di 7 o 8 anni, non di più.
Un giornata infrasettimanale e grigia.
Esco da scuola alle 10.30 perché c'è un assemblea sindacale: ai tempi ignoravo completamente il significato di questa espressione, ma ricordo ancora la scritta sul quaderno (o forse era un tagliando incollato malamente) che doveva essere firmato dai genitori.
Ho avuto educazione fisica: il maestro urla, ci spaventa, ricordo anche che era piuttosto manesco: ho un ricordo di calci in culo.
Esco da scuola: deve venire a prendermi qualcuno, non ricordo chi.
Fermo davanti al cancello della scuola, vedo i miei compagni che si allontanano con i rispettivi genitori; si allontanano ad uno ad uno e io resto lì.
Mi sposto dal cancello, nella direzione da cui credo debba arrivare qualcuno.
Inizio a piangere.
Se ci penso sento le mie urla (ma erano poi urla), ma ricordo la disperazione che ho provato in quel momento. La sento distintamente, ancora adesso che ne sto scrivendo.
So che ad un certo punto arriva qualcuno: mio padre? mia nonna? A quel punto si interrompe il ricordo.

Ovviamente questo ha scoperchiato un vaso di Pandora.

Mi ricordo la solitudine provata in quel momento, ma non ricordo il sollievo provato dopo.
Pur sforzandomi, non ricordo momenti felici della mia infanzia, momenti di calore: dovessi dire con certezza che non ci sono stati, non lo farei.
Ricordo che materialmente non mi è mancato niente, ma il perenne senso di competizione.
Però ricordo l'invidia nei confronti di altri bambini.
La mia incapacità in qualunque sport.
Il mio essere spesso a disagio.
Le attenzioni non gradite.
Il mio sentirmi ignorato.
Il mio non sentirmi abbastanza.
La tendenza ad idealizzare chi non mi ignorava.
Il profondo senso di solitudine.
La paura di essere abbandonato (e la tendenza ad abbandonare per non dover subire l'abbandono)
La cattiveria dei miei compagni di classe delle medie.
La mia cattiveria nei confronti dello sfigato quando lo sfigato non ero io.

Questi ricordi sono affidabili? Non lo so.
Sono andate davvero così le cose? Non lo so.
La cosa che so è che sento che sono lì e che mi hanno condizionato. E che forse è il momento di farci i conti.


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