24 marzo 2024

Facciamo che io ero...

Un fazzoletto rosso, un mazzo di carte truccate, una bacchetta magica nera con le estremità bianche. E poi dadi, una scatolina e tanti altri piccoli oggetti.
Ricordo ancora l'avidità con cui avevo aperto la scatola dei giochi di magia che mi era stata regalata per un Natale di troppi anni fa e gli innumerevoli tentativi  - brutalmente falliti - di esercitare la mia manualità che è rimasta scarsa esattamente come allora.
Ai tempi, se si pensava all'illusionismo la mente non poteva che andare ad un unico nome: David Copperfield. Non il protagonista del romanzo di Charles Dickens, ma l'uomo in grado di far sparire la Statua della libertà, di fuggire da Alcatraz, di attraversare la Muraglia cinese.
I miei occhi di bambino lo guardavano con grande ammirazione: come era possibile illudere in questo modo gli spettatori? Come si poteva creare una realtà inesistente e a convincere tutti che quello che i loro occhi vedevano era vero anche se era palesemente impossibile? 
Forse è da quel momento che ho iniziato ad illudermi.

Illudere, letteralmente, significa far entrare in gioco qualcuno ed è etimologicamente connesso al termine latino ludus che significa gioco, ma anche inganno.
Perché ci si illude? Forse perché siamo convinti che  - parafrasando Montale - la realtà non sia solo quella che si vede, oppure perché dalla realtà cerchiamo una via di fuga, pur essendo consapevoli che non stiamo facendo altro che gonfiare un'enorme bolla di sapone all'interno della quale ci rifugeremo come se fosse un castello inespugnabile. 

Uno dei giochi più belli di quando si è bambini è legato all'illusione: facciamo che io ero...? Il gioco si mescola con la finzione e con la recitazione e mi viene in mente il verbo inglese to play che - non è un caso - significa sia giocare sia recitare. Ancora una volta gioco e finzione, gioco e inganno.
Quando si gioca, ed è evidente a tutti coloro che sono coinvolti che quello che si sta facendo è un gioco, l'illusione è divertente perché crea un mondo fittizio in cui si possono immaginare situazioni ed essere per un po' di tempo chi non si è. L'illusione è, in questo caso, costruzione di sé.

Ma cosa succede quando si è in qualche modo vittime di questa illusione? Quando del ludus resta solo l'inganno? Quando le regole del gioco non sono condivise? 
L'illuso costruisce un mondo irreale, fatto di specchi che non riflettono la realtà, ma solo l'immagine che di quella realtà l'illuso si è costruito. Vedere attorno a sé immagini che gli confermano ciò che lui ritiene vero, non gli permette di mettere in dubbio la propria idea sulle cose per cui non fa altro che alimentare l'inganno in cui è invischiato.
Ciò che chi si illude crea è, ai suoi occhi, reale, concreto: mi vengono in mente versi di L'infinito di Leopardi in cui il poeta scrive e sovrumani / silenzi e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo: il verbo fingere fa venire in mente la creazione di qualcosa che non esiste -  e questo è indubbiamente vero - ma il verbo, in latino, rimanda all'azione dell'artigiano che crea con le mani, alludendo, dunque, a qualcosa di estremamente concreto, manuale, tangibile. L'illusione, in questo caso, è distruzione di sé.

Poi, improvvisamente, arriva la consapevolezza: talvolta basta una parola, un piccolo gesto, uno sguardo, come quel rumore quasi impercettibile che, nel silenzio della casa del primo mattino, ci sveglia. Da un momento all'altro ci si rende conto che l'illusione è, come si diceva prima, una enorme bolla di sapone che da una parte ci protegge ma dall'altra ci acceca. La realtà ci colpisce, ci prende a sberle, noi siamo disorientati e proviamo un senso di vuoto, ci sentiamo stupidi ad aver dato peso a parole e gesti che invece erano privi di consistenza. La disillusione ci fa mancare il fiato per un attimo, ma poi ricominciamo a respirare.

L'esperienza, però, in questo caso insegna poco. Dopo esserci illusi una volta smettiamo di farlo? No.
E forse la spiegazione del motivo di questa coazione a ripetere si trova nelle righe dello Zibaldone del già citato Leopardi:

Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni. Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale, stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito spregiarle come sogni di un solo, ma propri veramente dell’uomo e voluti dalla natura e senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa ec. Onde sono necessari ed entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose

Giacomino, come sempre, ci sorprende: l'illusione, nelle sue parole, diventa gioia per il presente. Certo, è un piacere vano, ma è un pur sempre il più solido piacere, e questo è ciò che  l'uomo, per sua natura, cerca instancabilmente.

Come quello che mi dava, da bambino, guardare a bocca aperta David Copperfield farsi segare in due o fuggire da un palazzo un attimo prima che questo esplodesse. 

Giuni Russo, Illusione

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