11 febbraio 2024

A cosa serve la poesia?

"Guardate fuori dalla finestra, ragazzi. Cosa vedete?"
"Il cielo grigio"."Gli alberi con i rami spogli". "I cani che giocano nel parco".
Qualcuno sussurra: "Vorrei essere un cane piuttosto che stare qui". (Risatine sommesse)
"Adesso chiudo la tenda. Mi dite cosa vedete?"
"La tenda" (Altre risatine)
"Ok, non riuscite a vedere quello che c'è fuori. Giusto? Dato che la vista non può essere utilizzata, cosa fate funzionare, visto che vorreste essere dappertutto fuorché qui?"
"L'immaginazione".
"Bravissimi. È esattamente quello che succede a Leopardi nell'Infinito. Visto che la realtà fa schifo, Giacomino inizia ad immaginare e così in qualche modo si consola. Ma la realtà continua a fare schifo".

La lezione in classe sulla poesia procede così, riflettendo sulla soggettività del testo e sulla sua contemporanea, necessaria universalità: una poesia è tanto più efficace quanto più è in grado di parlare a tutti, a distanza di secoli. E non è detto che uno stesso testo sia in grado di parlare a tutte e a tutti nello stesso momento: poesie che lette vent'anni fa, tre mesi fa, la settimana scorsa non avevano senso per me ora sono uno specchio della mia anima, sono il dizionario in cui trovare le parole per esprimere quello che sento.
Leggiamo insieme anche questo testo di Wislawa Szymborska, Ad alcuni piace la poesia

Ad alcuni -
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.

Piace -
ma piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane. 

La poesia -
ma cos'è mai la poesia?
Più d'una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
Come alla salvezza di un corrimano.

Amo questo testo perché l'autrice non dà certezze sulla poesia, sul suo valore, sul suo significato e forse l'instabilità, la precarietà, l'assenza di definizioni sicure e date una volta per tutte è l'unico modo per definirla realmente. Ma ovviamente questo non può soddisfare le menti di ragazze e ragazzi che dalla scuola - purtroppo, ma comprensibilmente - si attendono certezze, non domande.

E allora mi viene in mente uno dei miti fondativi sulla poesia che su di essa dà una certezza: la poesia ti può salvare.

Orfeo, grazie alla sua poesia, rende mansuete le bestie feroci, fa muovere piante e sassi: tutti vogliono ascoltarlo. Ma l'abilità poetica non è garanzia di felicità: la sua vita è funestata dalla morte di Euridice, la donna amata, causata del morso di una vipera.
Il poeta non può accettare questo lutto e quindi decide di scendere negli Inferi.

e giunse fino ai Mani, e al re tremendo, e ai cuori che non sanno farsi docili alle preghiere umane. Ma ecco che colpite dal suo canto dalle sedi più profonde dell'Erebo venivano leggere le ombre, e i fantasmi di chi non ha più luce, a migliaia, come stormi di uccelli che si posano tra le foglie quando la sera o la pioggia d'inverno li spinge giù dai monti. [...] E persino le case della Morte rimasero sorprese, e i recessi più intimi del Tartaro, e le Eumenidi con i capelli intrecciati di cerulee serpi; Cerbero restò con le tre bocche aperte, spalancate.

Così Virgilio nelle Georgiche ci descrive l'effetto del canto di Orfeo sulle anime infernali e persino su Persefone e Ade, che, commossi, decidono di concedergli di riprendere con sé la sua sposa a patto che, nel tragitto per ritornare alla luce del giorno, non si volti mai indietro per verificarne la presenza.
Questo, però, non avviene: l'incauto amante - dice sempre Virgilio - viene preso da una subita dementia, cioè da un'improvvisa follia che sarebbe da perdonare, se solo gli dei degli inferi sapessero farlo, e che lo porta a girarsi. 
È Euridice, a quel punto, a prendere la parola e rivolgendosi al suo amato:

Quale - diceva lei - quale immensa pazzia, Orfeo, ha rovinato me, infelice, e te? Ecco, di nuovo il fato crudele mi richiama indietro, e il sonno chiude i miei occhi esitanti e confusi. Addio, ora sono trascinata via, avvolta da una notte immensa, e tendo le mie mani senza forza - oh, non più tua - verso di te.

Orfeo, a quel punto, non può far altro che vederla svanire e ritornare solo sulla terra, così come da solo aveva affrontato la discesa agli Inferi.
Tanto si potrebbe dire su questo racconto e tante sono state le riletture moderne del mito, alcune delle quali estremamente suggestive (in questo articolo  - che consiglio di leggere a chi vuole approfondire il tema - ne sono raccolte diverse). Quello che mi ha sempre colpito è la solitudine di Orfeo, l'amore visto come follia, come dementia, come furor, come insania, ovvero quanto di più contrario possa esistere alla razionalità, che invece dovrebbe essere propria dell'uomo, ma soprattutto il valore salvifico della poesia, che svanisce insieme ad Euridice.

Finisce male, quindi? Sì, finisce decisamente male, ma d'altronde lo si poteva capire anche dal fatto che, con la sua poesia, Orfeo era in grado di sovvertire l'ordine naturale delle cose: grazie a lui si muovono cose immobili, solo a lui è concesso di compiere il percorso dalla morte alla vita, in direzione contraria rispetto a quello consueto. E gli dei non possono accettare che qualcuno faccia andare il mondo diversamente da ciò che è stato stabilito.

Allora, si potrebbe obiettare, non è vero che la poesia salva.

La poesia, in realtà, salva perché ci rende eterni, ma, se si guarda alla situazione contingente, se si guarda al presente e non al futuro, la situazione è ben diversa: la morte, che grazie al miracolo della poesia, aveva mollato la presa su Euridice, se ne impossessa definitivamente perché ad Orfeo manca la fiducia.
 
Certo, nel mito si parla di fede negli dei ma penso a quante volte la mancanza di fiducia mina i rapporti, a quante volte invochiamo il nome dell'altro a cui ci lega un sentimento, qualunque esso sia, e al sentimento di frustrazione che proviamo quando vediamo che la nostra invocazione rimane senza risposta.

Violiamo, perciò, il patto che ci ha legato, rischiando, così, di perdere definitivamente la persona che siamo riusciti faticosamente ad avere al nostro fianco. 

E magari poi scopriamo che l'altra persona non ha risposto alla nostra invocazione perché - banalmente -  non ci ha sentito; o scopriamo che, talvolta, il chiedere continue conferme della presenza dell'altro nella nostra vita - che è una richiesta umanamente comprensibile e legata alla nostra insicurezza cronica, che è propria di tutti anche se non da tutti esibita - è il modo migliore che abbiamo per allontanarlo da noi.

Ma questa è un'altra storia.

Carmen Consoli, Orfeo


1 commento:

  1. Come Cerbero sono rimasto a bocca aperta e senza parole...

    Sul mito di Orfeo ed Euridice se ne potrebbero dire tantissime.
    E come hai detto, le divinità non potevano permettersi che qualcuno sovvertisse le regole da esse costituite.

    Orfeo è stato tratto in inganno dalle divinità dell'Ade.
    Perché sanno benissimo che qualsiasi cosa tu vieti ad un uomo, l'uomo la farà, inevitabilmente, è come una legge naturale, e quindi il divieto di guardare Euridice durante la salita all'esterno non faceva che aumentare la voglia di guardarla in Orfeo.

    (segnalo comunque un typo "Dato che lE vista..." proprio all'inizio, dopo che hai chiuso la tenda :P )

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