Ha ragione il generale Vannacci, autore del discusso libro "Il mondo al contrario" e probabile candidato alle prossime elezioni europee come nome acchiappavoti per quella parte di Paese che "eh signora mia, si stava meglio quando si stava peggio".
Ha ragione Vannacci, dicevo, quando sostiene che il nostro mondo è al contrario, un mondo in cui non ci si vergogna a fare affermazioni del tipo: «Se mia figlia fosse gay la supporterei, ma cercherei anche di indirizzarla verso l'eterosessualità».
È al contrario quel mondo in cui ad un padre sembra normale umiliare il figlio omosessuale, imponendo, tra l'altro, al quattordicenne di avere un rapporto sessuale con una ragazza entro 30 giorni e doverlo dimostrare. (Chi non conosce la storia di questa bella famiglia tradizionale di Torino può leggerla qui).
Per inciso a questo uomo (perché di "padre" non merita neppure il nome) il giudice ha comminato una pena di due anni di reclusione per maltrattamento, suscitando i commenti sdegnati di chi sostiene che l'omofobia non esiste.
È un mondo al contrario quello in cui si prova vergogna ma per le cose sbagliate.
Mentre correggo il quaderno di una mia studentessa, leggo le sue parole dolcissime dedicate ad una compagna. Il giorno dopo. in classe ho chiesto sottovoce e con delicatezza all'autrice se la sua amica sa. "No, profe, mi vergogno".
Vorrei dirle di avere coraggio, di dirgliele quelle parole, di non lasciarle su un pezzo di carta a morire e dentro di sé a marcire: mi limito a chiederle "perché?" ma sorride di un sorriso triste e torna al suo posto.
Ci si vergogna dei propri sentimenti, del proprio corpo, di dover chiedere aiuto, di ammettere di non essere abbastanza, del non essere conformi agli standard; non ci si vergogna dell'approfittare degli altri, di imporre la propria volontà, di ricorrere all'inganno per avere privilegi.
Si confonde spesso la vergogna con il pudore, con l'imbarazzo, con il senso di colpa e questo succede perché manca una seria alfabetizzazione sentimentale.
Siamo al paradosso per cui, talvolta, ci si vergogna persino di vergognarsi.
La vergogna è il sentimento umano e sociale per eccellenza: umano perché è proprio solo degli uomini e di nessun'altra specie; sociale perché riguarda il rapporto dell'uomo con la società. Questo sentimento, che - com'è stato dimostrato - non dipende dalla cultura del popolo a cui si appartiene ma è insito nell'essere umano, ha lo scopo di limitare le azioni che potrebbero avere ripercussioni negative sulla socialità. L'uomo è animale sociale e per questa ragione a ciascun individuo interessa necessariamente l’idea che dà di sé agli altri: la vergogna, come il dolore, ha, perciò, una funzione protettiva in quanto è in grado di farci evitare quei comportamenti che andrebbero a ledere la nostra reputazione. Difficilmente si ha vergogna di qualcosa che si sa essere comunemente accettato.
Eppure la vergogna è, come dice il filosofo Frédéric Gros, un sentimento rivoluzionario perché sta a fondamento di qualunque percorso di rivendicazione e di rinnovamento; nel nostro mondo, la vergogna è e deve diventare - dice il filosofo - un sentimento radicale, espressione di una rabbia nei confronti delle ingiustizie quotidiane e non deve essere vissuta esclusivamente come un sentimento di tristezza e ripiegamento su di sé o come un senso di inadeguatezza paralizzante.
A proposito di vergogna, ho avuto modo di ascoltare le parole della scrittrice Edith Bruck che nel 1944 ha vissuto l'esperienza dell'internamento nel campo di concentramento di Auschwitz.
Bruck ha raccontato che non ha mai provato vergogna quando nuda per la disinfestazione davanti a quattro appartenenti alla Hitlerjugend, la gioventù hitleriana, ha subito più e più volte l'umiliazione di ricevere i loro sputi sulle proprie parti intime: il sentimento provato in quel momento è stata la pena per questi giovani che non si rendevano neppure conto di ciò che facevano perché disumanizzati dalla scuola nazista.
Ricorda, invece, che quando si è mostrata nuda agli Americani che sono arrivati ad Auschwitz per liberare il campo ha finalmente provato un sentimento di vergogna.
Vergogna di un essere umano, dunque, davanti ad altri esseri umani; il senso di vergogna come un campanello di ritorno all'umanità.
Ci sono culture, come quella giapponese o - ancora prima - quella descritta nei poemi omerici che fanno di questo sentimento un proprio caposaldo: con l'espressione cultura della vergogna, definizione riferita dall'antropologo e filologo Eric Dodds al mondo di Iliade ed Odissea e mutuata dall'antropologa Ruth Benedict che l'aveva coniata per parlare della società nipponica, si intende una società in cui il rispetto delle regole si ottiene attraverso determinati modelli di comportamento imposti dall'autorità. Chi non si adatta a questi modelli riceve il biasimo della comunità, e prova quindi vergogna.
La domanda giusta da porsi, a questo punto, è quali siano i modelli di comportamento a cui adeguarsi: forse quelli imposti dalla tradizione - dal mos maiorum, avrebbero detto i Romani - che sono rassicuranti ma inattuali e talvolta inattuabili? O si possono immaginare modelli che mettono al centro il sentimento di umanità? Ripensare i valori, quindi, e trovare il tempo e il modo di dedicarci ad una profonda educazione sentimentale, anche a costo di sovvertire la realtà e di andare, come diceva Faber, in direzione ostinata e contraria.
Carmen Consoli, Signor Tentenna
Questo articolo è un piccolo gioiello. Grazie
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