21 gennaio 2024

Il coraggio di reagire

Sentite questa.
Un giorno, un servo, stando in una piazza, pregava Cristo in croce dicendogli: "Cristo, il mio padrone mi strapazza, mi tratta come un cane randagio. Si prende tutto con la sua mano avida, dice che neanche la vita mi appartiene. Distruggila, Gesù, questa malarazza. Distruggila, Gesù, fallo per me"
Ma non è finita.
Al servo Cristo risponde dalla croce: "Forse le tue braccia sono spezzate? Chi vuole la giustizia, se la faccia, perché tanto nessuno la farà al posto tuo. Se sei un uomo saggio, ascolta attentamente questo mio consiglio. E ti dirò di più: non sarei inchiodato in croce se avessi fatto ciò che ti sto dicendo".

Nel 1857 Lionardo Vigo pubblicò questo testo anonimo intitolato ""Lamento di un servo ad un santo crocifisso" all'interno del suo libro "Raccolta amplissima di canti popolari siciliani" e ovviamente causò non pochi guai all'autore: le autorità dell'epoca fecero ritirare tutte le copie del testo perché ritenevano che istigasse alla violenza e allora Vigo, per permettere la diffusione della sua opera, modificò le parole di Cristo - il cui messaggio veniva ritenuto blasfemo - con queste parole: 

E tu chi ti scurdasti, o testa pazza, / chiddu ch’è scrittu ‘nta la liggi mia? Sempri in guerra sarà l’umana razza / si cu l’offisi l’offisi castija! A cu l’offenni, lu vasa e l’abbrazza / e in Paradisu sidirai ccu mia: m’inchiuvaru l’ebrei ‘nta sta cruciazza: / e Cielu e Terra disfari putia!

Mi correggano i lettori siciliani ma dovrebbe significare più o meno questo:

"Ti sei scordato, o pazzo, cosa è scritto nella mia legge? La razza umana sarà sempre in guerra si risponde alle offese con offese. Bacia e abbraccia chi ti offende e verrai in Paradiso con me; gli Ebrei inchiodarono a questa croce me, che avrei potuto disfare cielo e terra".

Fu Dario Fo a scoprire questo testo negli anni '70, anni di forti contestazioni politiche, e a rielaborarlo nella forma che poi si è diffusa anche grazie a Domenico Modugno che, nel 1977 incise la canzone Malarazza - attirandosi poi una querela da parte dello stesso Dario Fo che lo accusava di aver usato senza autorizzazione la sua rielaborazione del testo originale -  e aggiungendo un verso che poi rimarrà in tutte le riprese successive della canzone

Tu ti lamenti? Ma che ti lamenti?
Pigghia nu bastuni e tira fora li denti.

Perché mi è venuta in mente questa canzone?
Perché noto, con dispiacere, una tendenza al lamento sempre più diffusa ad ogni livello della società attuale. Ci lamentiamo tutti, per qualunque cosa: si lamenta chi lavora troppo (e non fa niente per lavorare meno), si lamenta chi il lavoro non ce l'ha (e non fa niente per trovarlo); il bello perché la sua bellezza lo ostacola, il brutto perché la mancanza di bellezza lo ostacola. 
Sembriamo non essere più in grado di affrontare una minima difficoltà e le nostre disgrazie sono sempre le più grandi, come in una gara a chi ce l'ha più nero, il destino. 
Cerchiamo compassione, cerchiamo la pacca sulla spalla che è una cosa diversa dall'umana solidarietà.

Alberto Moravia, nel suo romanzo "Gli indifferenti" dice una verità tanto semplice quanto lampante:
Sai cosa si fa quando non se ne può più? Si cambia

Cambiare ciò che non ci piace, senza accettare con rassegnazione la nostra condizione come qualcosa di dato una volta per tutte. Dire: "Non riuscirò mai a fare questa cosa" è il primo passo verso il fallimento: se non ci provi neppure o non ci provi abbastanza non puoi riuscirci.

Accogliere il proprio essere sbagliati non come uno stigma ma come una ricchezza: come ho detto altre volte, siamo tutti diversi e principianti, basta ammetterlo.

Reagire, agire di rimando, non rimanere inerti, cioè privi di ars, di attività, di abilità, di arte. Non rimanere come una cosa posata in un angolo e dimenticata, come scrive Ungaretti, ormai pietrificato dall'esperienza di guerra. Finché non diventiamo pietre, possiamo reagire.

Ribellarsi, rispondere alla guerra con la guerra. O come dice Alessandro Bergonzoni con una etimologia palesemente falsa (che purtroppo qualcuno ha preso per vera) ma suggestiva tornare al bello delle cose.

Scegliere è il verbo che rimanda ad una delle azioni più potenti che l'uomo possa fare: scegliere il meglio per sé, scegliere di accettare passivamente ciò che non va o di trovare una strada diversa, alternativa, mai provata ma non per questo sbagliata. La chiave è sempre la stessa: il coraggio, parola che è etimologicamente legata a doppio filo al cuore. E finché siamo vivi, il cuore non ci viene meno.

Lautari feat. Carmen Consoli, Malarazza

3 commenti:

  1. Martina Puglisi21/01/24, 11:28

    Bella riflessione! Racchiude quello che, più o meno, penso anche io

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  2. Anni orsono da qualche parte, in qualche ufficio oscuro:

    "La situazione globale andrà verso una popolazione che sarà sempre più povera, ed i ricchi che saranno sempre più ricchi, il divario si allargherà, fino a che la misura non sarà colma e ci sarà una rivoluzione globale, in cui le nostre ricchezze saranno tutte depredate... "
    "E' invero una notizia terribile, cosa potremmo fare?"
    "Occorre trovare un modo per cui le persone possano scaricare la propria rabbia in maniera singola, lamentandosi inutilmente, ma sostanzialmente perdendo poi l'energia e la voglia di agire dietro alla propria giusta rabbia."
    ....

    Oggi, vediamo che le persone si lamentano di tutto, e però non fanno niente per scrollarsi di dosso quello di cui si lamentano.
    Chi non si lamenta è perché se ne è già andato, ed ha agito.
    Chi si lamenta è perché tutto sommato gli va bene, e lamentarsi è uno sport nazionale...

    Dalle nostre parti si dice... fanno come i gatti, piangono e trombano...

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  3. Ho faticato a capire questo articolo, perché non conoscevo le citazioni. Faccio autocritica: mi lamento spesso e fatico a reagire, ma ho il grande pregio di prendermi poco sul serio e il de profundis e le geremiadi durano l'arco di 24 ore.

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