Lo avrei dovuto capire subito.
Lo avrei dovuto capire nel momento esatto in cui Figlio1 - che solitamente racconta le cose non prima che siano passati tre mesi dall'avvenimento - mi dice in macchina: "Papi, sai cos'è successo oggi a scuola?".
Mi racconta che in classe ci sono delle psicologhe che stanno iniziando un progetto sugli stereotipi di genere e stanno chiedendo alle bambine e ai bambini di esprimere una loro opinione ("sono d'accordo", "non sono d'accordo", "ci sto pensando") su alcune affermazioni posizionandosi sotto il cartello corrispondente.
La prima frase è "Le bambole sono adatte solo alle bambine": tutti i maschi si dichiarano d'accordo con questa frase, tranne Figlio1 che sostiene - con tutte le femmine - di non essere d'accordo. E questo avviene con quasi tutte le affermazioni.
"Ma allora sei gay!" afferma uno di quelli che lui considera amici. Me lo riporta, Figlio1, con il timore di aver detto una parolaccia.
"E tu come hai reagito?" gli chiedo io.
"Non ho risposto. Tanto sono abituato, con tutte le volte che me lo hanno già detto..." mi risponde lui, sereno e sorridente. E sereno e sorridente - non so se per ingenuità o per consapevolezza - lo era davvero perché la simulazione non è il suo forte.
Da una parte ho provato un profondo moto di orgoglio per questo piccolo mostro di 10 anni che, al netto della sua capacità innata di sminuzzare le gonadi, sta crescendo in intelligenza e sensibilità.
Dall'altra parte ho provato rabbia: e no, non mi si dica sono bambini perché dietro questi bambini ci sono degli adulti con il compito di educarli e perché a 10 anni non lo sono, non lo sono se si ritengono in grado di usare un cellulare o di scegliere autonomamente cosa guardare su Netflix.
La rabbia deriva dalla consapevolezza che la strada da percorrere è ancora lunga, lunghissima, al di là dei discorsi sull'uguaglianza dei diritti di cui tutti ci riempiamo la bocca e degli arcobaleni che sfoggiamo più o meno consapevolmente sui nostri balconi e sui nostri profili social.
La rabbia cresce ancora di più quando questo discorso non viene fatto dal pensionato cresciuto a pane e maschilismo nella provincia più sperduta ma da bambini che presto diverranno adolescenti e che saranno chiamati nel giro di pochi anni a dare un indirizzo alla società. Bambini che usano il termine gay con l'intento di ferire l'altro.
Ma come possiamo meravigliarci di questo se la distinzione tra giocattoli per bambini e giocattoli per bambine è ancora presente sul più grande sito di vendite on line del mondo occidentale?
E invece bisogna farlo, bisogna meravigliarsi, incazzarsi e ribadire verità che riteniamo ovvie (e forse non lo sono) per provare a migliorare il mondo nel nostro piccolo.
Ho provato a raccoglierne in ordine sparso un campionario, ovviamente incompleto:
- a meno che il loro utilizzo non preveda l'uso degli organi genitali, non esistono giocattoli per bambine e giocattoli per bambini (e in questo caso non sono evidentemente pensati per loro);
- puoi piangere, non amare le macchine, non amare il calcio, amare la lettura, la poesia, i fiori, vestirti di rosa, di giallo canarino, del colore da cui ti senti maggiormente rappresentato e questo non fa di te una femminuccia;
- puoi giocare a calcio, amare le macchine, non voler diventare una principessa, odiare moine, baci, abbracci e questo non fa di te un maschiaccio;
- puoi vestirti come vuoi e come ti senti a tuo agio - ovviamente rispettando l'ambiente in cui ti trovi - e non per questo stai obbligatoriamente mandando un messaggio di tipo sessuale;
- il corpo è tuo e puoi gestirlo come meglio credi con l'unica accortezza di ragionare sulle conseguenze delle tue azioni;
- se una persona è bella, non è per forza stupida; non tutto ciò che è bello è anche buono (l'ideale del kalòs kai agathòs, l'idea per cui ciò che è bello è necessariamente anche buono, lasciamolo all'antica Grecia);
- se una donna è bella ed è in ruoli apicali, non deve per forza averla data a qualcuno;
- se una persona ama stare da sola, non è per forza strana, così come non è strana la persona che non ha partner anche in età adulta;
- se una coppia non ha figli, non hanno per forza un problema né sono degli egoisti che vogliono passare la vita a divertirsi (e anche se così fosse non sono questioni che devono riguardare gli altri);
- se una persona ha la pelle nera o indossa un velo, non costituisce per forza una minaccia così come una persona nata in Italia non è per forza una brava persona;
- se una persona è nata o vive in provincia non è per forza portatrice di valori sani (a differenza dei cittadini che sono dissoluti);
- se una persona è meridionale non è per forza mafiosa, ignorante o senza voglia di lavorare.
L'elenco potrebbe continuare a lungo, ma fa male rendersi conto che in questi stereotipi cadiamo tutti, anche non volendo, anche pensando di essere lontani anni luce da questi pensieri.
Quando riusciremo a ricordarci tutto questo?
Caparezza, Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti
Ho qualche riserva sul terzo punto: i messaggi non verbali esistono veramente ( naturalmente ho capito cosa intendi; ma esiste anche questo lato della questione)
RispondiEliminaops ho sbagliato a contare: intendevo il "Quarto" punto. Martino :-)
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