26 novembre 2023

Il campo è aperto: una non recensione (e una riflessione sulla bellezza di perdersi)

Valeria ed io ci vogliamo bene, di un bene strampalato e con tante assenze; ci vogliamo bene come due persone diversissime ma connesse in un modo incomprensibile anche a loro stesse.
Di Valeria sono anche stato innamorato, ma dopo 26 anni direi che il reato è caduto in prescrizione, Vostro Onore.
Quando ho saputo che lei, Pulsatilla, madre di tutti i blogger prega-per-noi, avrebbe pubblicato un nuovo romanzo, a una distanza di tempo dal precedente che, considerando la velocità con la quale ormai si consuma ogni cosa, parole, amori, storie, potrebbe sembrare siderale, ho iniziato ad aspettare, a provare ad immaginare quali pezzi di lei ci sarebbero potuti essere in quelle pagine.
E l'attesa non è stata delusa.

Lucilla mi chiede qual è stato il momento più felice della mia infanzia. Potrei dirle di quella volta al circo, quella volta sulle montagne russe a Mirabilandia, quella volta che mi hanno regalato un gatto...
Sinceramente, non ho dubbi.
"Quella volta che io e la nonna siamo andate a comprare lo spazzolino su via Telesforo".
Mia madre prendeva sempre la macchina, invece usciamo a piedi. Camminiamo e camminiamo in silenzio, guardandoci le scarpe. Dopo più di mezz'ora arriviamo in un negozio che fino a poco tempo prima non esisteva e che poco tempo dopo non sarebbe più esistito, che vendeva articoli per l'igiene personale e della bigiotteria scadente. Un negozio di saponi, credo si chiamassero così i cinesi prima che diventassero dei cinesi. Il commesso chiede a mia madre se vuole lo spazzolino con le setole dure o morbide - lei lo squadra con sdegno e gli dice: "Morbide": gli ha già detto che lo spazzolino è per me, deve esserle sembrata una domanda molto stupida. Paghiamo e torniamo verso casa, sempre camminando, sempre in silenzio. Quando usciamo dal negozio è già quasi buio.
Fare tutti quei chilometri per uno spazzolino non aveva senso; di norma, invece, mia madre faceva solo cose che avevano senso, e per questo lo spazzolino su via Telesforo è il ricordo più bello di tutti. Forse quel giorno aveva solo voglia di camminare e si è data il permesso di farlo. A parte la domanda sulle setole, ricordo solo - di quella che ho proclamato essere senza dubbio l'ora più felice della mia infanzia - che salterellavo sulle griglie del marciapiede. E che mia madre era stanca, taciturna. Forse aveva avuto una brutta giornata con mio padre. Comunque, l'idea di farsi una camminata, una semplice camminata, invece di imbattersi in un ordigno complicato di doveri, riflessioni, cose da fare, mi ha dato un sollievo che non avrei più sentito per molti anni. O che forse non avrei sentito mai più. Ho cercato tante volte, maldestramente, di riprodurlo, ogni volta che ho sofferto, che sono uscita per strada, e che ho cercato di riconnettermi con la vita, e basta.

Il campo è aperto racconta la vita di Valeria, vissuta con un padre con un disturbo psichiatrico e una madre, algida e distaccata, che cerca di mettere ordine e di disporre della vita degli altri; una madre, quella della protagonista, che ha intuito fin da subito che la scrittura è per Valeria una via di fuga e che lascia tracce tanto più profonde in lei quanto più lei cerca di prenderne le distanze. 
Proprio grazie alla scrittura, Valeria ha conosciuto il successo, quello grande, quello che ti fa entrare in contatto con i soldi, la tv, i personaggi famosi, in un mondo effimero il cui scintillio è solo apparente e finalizzato a nascondere il vuoto che c'è dietro.
C'è, però, qualcosa che manca a Valeria, e sembra mancarle da sempre: prova un senso di inappartenenza, sembra non sapere chi sia, cosa voglia e quale sia il suo ruolo nel mondo. Cerca di trovare sé stessa negli altri, nell'amore, nel sesso, ma la ricerca è spesso fallimentare: o meglio, più che fallimentare è una ricerca lunga e faticosa, che porta su sentieri che si rivelano sbagliati ma che, andando per esclusione, le segnalano la retta via.

Il libro è la storia di una ricerca, la storia della paura di aver ereditato la malattia psichiatrica del padre, la storia di una caduta e di una rinascita. Dal fisico allo spirituale, dal successo alla disperazione, dalla gioia al dolore: niente è escluso da questa narrazione in cui, attraverso parole potenti, chi legge arriva davvero ad empatizzare con Valeria, ridendo e piangendo con lei.
Il tempo, in questo romanzo, non esiste: la narrazione segue strade proprie che poco hanno a che vedere con il rispetto dell'ordine cronologico. È un tempo fluttuante, in cui gli eventi sono collegati tra loro in un modo poco razionale ma afferrabile con l'intuito: l'esperienza che fa chi legge questo libro è la stessa della protagonista, ovvero perdersi e ritrovarsi, perché, una volta chiuso il libro, si ha la sensazione di un cerchio perfettamente concluso.

Ci vuole coraggio per rendersi conto, ad un certo punto della vita, che la strada che abbiamo individuato come nostra non ha più nulla da darci. Ad ammettere che abbiamo fallito, che non siamo stati sinceri con noi stessi e a cercare un senso a tutto. A porre rimedio ad errori fatti.
Perderci, forse, è l'unico modo che abbiamo per ritrovarci, anche a costo di passare per pazzi, di rinunciare a ciò che abbiamo e alle nostre certezze, fino a vedere il campo di tutte le possibilità finalmente aperto. Una volta trovato il campo aperto, non dobbiamo far altro che cercare, indagare, analizzare ogni piccolo particolare per trovare ciò che può guidarci lungo la nostra strada.

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