“È una scrittrice mediocre, ma comunque RIP”.
È uno dei tanti, irritanti messaggi che hanno riempito i social dopo la morte di Michela Murgia.
Un pietismo fastidioso, una partecipazione esibita solo per dire “io c’ero” ma totalmente privi di significato e di sentimento, espressi soprattutto da chi ha colto l’occasione per vomitare ancora un po’ di veleno, sentendosi però assolto dal “la terra ti sia lieve” scritto al termine di un post fatto di accuse generiche e offese gratuite.
Il fastidio fisico che ho provato leggendo tutti questi messaggi mi ha spinto a fare l’unica cosa che, per me, ha avuto senso.
L’ho comprato appena uscito, ma per leggere “Tre ciotole” ho aspettato il momento giusto, cioè il momento del suo cambio di stagione, citando il titolo dell’ultimo dei dodici racconti che costituiscono il libro.
A parte il pugno dello stomaco del primo racconto (“Espressione intraducibile”) che funge da chiave di lettura di tutto il libro perché dà la cifra di quanto ogni racconto sia calato nella realtà e dalla realtà tragga ragione di esistere, ho trovato una scrittura precisa, senza fronzoli ma mai banale con in più l’idea suggestiva dei racconti che si richiamano tra loro per piccoli o grandi particolari, come succede, ad esempio, nella serie “Black mirror”. I punti di vista opposti dei fidanzati che si lasciano sono raccontati in “Il senso della nausea” e in “Ricalcolo percorso”; il dramma privato del dottore che nel già citato “Espressione intraducibile” dà alla sua paziente la diagnosi di neoplasia al rene è ripercorso in “Volto non riconosciuto”.
Murgia sa definire con pochi tratti figure forti che si imprimono nella mente del lettore come la primipara attempata che odia i bambini (e ne spiega i motivi) di “Utero in affido” o le diversissime madri delle due adolescenti interdipendenti ed autolesioniste di “Grazie dei fiori”.
E non sono riuscito a non sentire un inestricabile nodo in gola leggendo l’ultimo racconto in cui si parla di vestiti appesi ad alberi e regalati agli amici, vestiti appartenuti ad una persona che non c’è più.
La risposta migliore al commento “È una scrittrice mediocre, ma comunque RIP” la prendo in prestito dalla chiusura di uno dei racconti: “Le cose che non possono essere nascoste non sono tre, ma quattro: uno starnuto, la bellezza, la povertà e il fatto che uno è una merda”.
Una sola parola: gratitudine.
Franco Battiato, Testamento
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