vellutati come l’oboe e verdi come i prati,
altri d’una corrotta, trionfante ricchezza
che tende a propagarsi senza fine – così
l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino
a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.
Così Giovanni Raboni traduce una delle poesie più note e meno comprese (e probabilmente comprensibili) della letteratura francese, ovvero Correspondences di Charles Baudelaire, uno dei poeti maledetti, noti alla platea studentesca di ogni tempo perché si drogavano (con conseguente obiezione dello studente di turno che mi afferma con sicumera anche io, se mi drogassi, scriverei poesie così. No, ciccio: probabilmente tu lo fai già e, nonostante questo. scrivi come un quadrumane stordito con taser).
Rileggere questi versi mi ha fatto pensare all'importanza dei profumi, ultimo baluardo di un mondo analogico che ormai sta cedendo inesorabilmente il passo al digitale, al riproducibile, allo standardizzato.
L'acqua di colonia della nonna, l'odore di medicinali negli armadi del nonno, la scia di profumo che seguiva la maestra dell'asilo e poi profumi che ci riportano istintivamente a qualcosa a cui razionalmente non abbiamo più accesso.
Si possono riascoltare le voci, riguardare le foto o i video, ritornare nei luoghi del passato e rivedere albe, tramonti, posti: tutto è - più o meno facilmente - riproducibile, tranne gli odori. E non basta acquistare il profumo che indossava la persona di cui sentiamo la mancanza perché resta unica la mescolanza di quello con l'odore della pelle.
Allo stesso modo, i profumi ingannano e tormentano.
Puoi immaginare di rivedere una persona o di tornare in un luogo perché ne senti da lontano e scoprire, invece, che è stata solo un'illusione.
Puoi tentare di liberarti di qualcuno che vuoi escludere dalla tua vita, ma ogni volta che ne sentirai nell'aria il profumo dolorosamente ed involontariamente ritornerai a quel ricordo.
Spietato e consolatore.
Analogico e istintivo.
Del profumo, pur volendo, non ci si libera.
Nirvana, Smells like teen spirit
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