Un ragazzo di 19 anni di nome Leonardo Apache viene accusato da una ragazza di violenza sessuale.
Il padre afferma che il figlio è innocente e, insieme ai suoi sodali, sottolinea che:
- la ragazza ha assunto cocaina
- la ragazza ha denunciato troppo tardi
- la ragazza è salita a casa sua e ciò significa che, in qualche modo, era consenziente.
Spero di non abituarmi mai alla brutalità di queste affermazioni e di continuare ad allibire di fronte a frasi del genere: certo che leggere queste cose dopo aver letto Oliva Denaro di Viola Ardone fa male.
Perchè? Cerco di non fare spoiler per chi non ha letto questo romanzo (e spero rimedi presto).
1960, Martorana, Sicilia. Ad Oliva Denaro, che fino a quel momento ha goduto di quella spensieratezza invidiabile che è propria solo dei bambini, arriva il ciclo (il marchese, come viene chiamato dalle donne del paese) e questo per lei significa la fine della libertà: inizia quella fase della vita in cui bisogna che le ragazze vivano appartate, quasi segregate, come una brocca che non deve essere rotta. Limitare le uscite, gli sguardi, le parole per poter arrivare pure al matrimonio e non essere oggetto di pettegolezzo da parte delle altre donne del paese. Nella protagonista convivono il desiderio profondo di essere come le altre e, d'altra parte, la coscienza di quanto tutto ciò sia profondamente sbagliato ed avvilente: la contraddizione esplode quando Oliva diventa oggetto di attenzioni di Paternò, rampollo di una delle famiglie più in vista del paese che, come il manzoniano don Rodrigo, decide che, in un modo o nell'altro, la ragazza deve essere sua.
A differenza dei Promessi sposi, però, in questo microcosmo, popolato da personaggi memorabili come il padre di Oliva che fa del silenzio la sua arma più deflagrante o come Liliana, amica della protagonista, che rappresenta un sogno di libertà possibile, non c'è spazio per la Provvidenza, non c'è un piano divino che giustifica il tutto, ma c'è solo la forza di chi, disposto a subire un processo pur essendo vittima e non colpevole di un reato, affermerà con tutte le proprie forze la volontà di autodeterminarsi, difendendo le proprie scelte.
Torniamo ad oggi.
La storia è ambientata nel 1960, siamo nel 2023; quello è un romanzo, questa è storia vera.
Sostanzialmente, però, non è cambiato niente: certo, sono stati abrogati - ormai 40 anni fa - gli articoli 544 e 587 del Codice Penale e conseguentemente non esistono più il matrimonio riparatore e il delitto d'onore ma tocca ancora sentir ripetere che se una donna subisce violenza è perché se l'è cercato, perché indossava una minigonna, perché ha fatto intendere che ci stava.
La giustizia farà il suo corso e stabilirà, si spera, la verità, ma il fatto che ogni volta che si verifica un caso del genere si debbano ascoltare giustificazioni per chi commette violenza, si debba assistere ai teatrini di chi fa i distinguo, a chi sì, ha fatto quello che si dice ma... fa davvero perdere fiducia nel genere umano, nella sua capacità di discernimento e di assunzione delle responsabilità.
E se è vero - com'è vero - che è difficile essere donne in un mondo ufficialmente fatto solo dagli uomini e per gli uomini, è anche vero che essere maschi e assistere all'affermazione di un modello di mascolinità definita, giustamente, tossica che sembra inscalfibile, fa sentire impotenti e perennemente in difetto anche chi, nel proprio piccolo, cerca di fuggire quanto più lontano possibile da questi comportamenti.
James Brown, It's a man's man's man's world
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