09 giugno 2023

L'ultima campanella (o quasi)

Ogni volta che mi capita di chiudere un ciclo mi dico che è l'ultima volta.
Ogni volta mi prometto di non cascarci: dài, Luca, non puoi fare il tuo discorso da fine scuola con la lacrimuccia che si affaccia all'occhio e che non cade solo perché ogni tanto il pudore di mostrare i propri sentimenti è superiore persino alla forza di gravità.
Mi ero anche allenato: non è la prima quinta che saluti dopo averci passato diversi anni - mi dico -  non puoi fare come i pivellini.
E invece anche stavolta ci sono cascato.
Credo che per chi non fa questo lavoro sia difficile capire cosa voglia dire stare tante ore con dei ragazzi che ti crescono sotto gli occhi, che senti tacere o balbettare all'inizio e parlare con sicurezza alla fine e rendersi conto che nella loro crescita anche tu con le tue materie che spesso hanno odiato perché inutili e noiose, con le tue fissazioni, con i tuoi modi talvolta gentili ma più spesso poco urbani, hai contribuito a questa loro crescita.
E non fa niente se ti danno del vecchio, se pensano che tu sia un essere strano che parla in modo strano, che legge cose strane, che dice cose strane, che ride per cose strane: in fondo li senti parlare e ritrovi le tue parole inusuali, ti confronti con loro e vedi che qualcosa delle tue idee, del tuo modo di vedere e di affrontare la vita ha lasciato un frutto.
Rimarrà qualcosa in loro? Questo si può solo sperare.
Ciò di cui sono certo è che qualcosa di loro rimarrà in me: le espressioni del loro viso (prima visto a distanza, poi mimetizzato dalle mascherine e solo quest'anno finalmente libero da impedimenti di qualsiasi tipo), le loro ansie, scolastiche e personali, condivise senza timore di essere giudicati, le mail chilometriche (e poi i messaggi vocali in confronto ai quali quelli di 10 minuti dei The giornalisti erano roba da dilettanti) per chiedere spiegazioni, chiarimenti o semplicemente per ripetermi la lezione prima di un compito o di un'interrogazione, i "ma prooofeeee, sembra Eminem, parli più piano" durante le spiegazioni (e io che contestualmente pensavo che se avessi fatto il rapper avrei guadagnato milioni).
E poi la lezione fatta da loro sulla Divina Commedia di Tedua, Budapest, le mostre di arte, le cascate delle Marmore, i giorni in cui, nonostante gli scazzi personali, cercavo - non sempre riuscendoci - di mostrarmi sorridente perché loro non erano responsabili dei miei malumori, le contrattazioni prima di ogni interrogazione, l'occupazione e la delusione conseguente...
In questo momento ho l'ansia da valigia: vorrei mettere tutto in questo post, ma, come quando si fa la valigia, ho la certezza di aver dimenticato qualcosa. Che però non andrà dimenticato perché resterà in un posto accanto alle altre cose belle e preziose, alle altre persone belle e preziose che hanno popolato e popolano la mia vita.

L'altro giorno, nelle pagine del romanzo che sto leggendo, Tutti gli eroi che conosco di Michele Arena, ho trovato queste righe che un professore scrive ad una sua ex studentessa: 

"A volte penso che l'unico scopo della maggior parte [delle regole] che ci sono a scuola è far capire chi ha il potere e chi no. Abbiamo un atteggiamento coloniale, come se voi foste gli indigeni e noi la cultura forte che vi deve dominare. Non accettiamo i vostri usi, i vostri costumi, la vostra musica e il modo che avete di parlare o di vestirvi. Allora vi umiliamo, costantemente.
Ma la verità è che nessuno di noi adulti tornerebbe in un posto dove ogni singola azione viene giudicata e valutata da qualcuno che ha un potere sconfinato rispetto a noi, in un posto dove dobbiamo chiedere il permesso per parlare, per dire quello che pensiamo, per decidere come vestirci o semplicemente per andare in bagno. Nessuno di noi vorrebbe vivere in un posto dove, alla fine di ogni anno, se non siamo stati all'altezza qualcuno prende il nostro nome e lo mette su delle pareti  con scritto accanto se siamo stati un fallimento oppure no. Ti rendi conto che la scuola a volte è solo questo? E che tutti passiamo da lì?
Ho sempre sentito dire che servono insegnanti carismatici in grado di far innamorare i ragazzi, io penso che serva il contrario, e cioè insegnanti innamorati dei loro studenti e che lavorino per farli sentire pieni di carisma e di talento"

Ecco, io non so esattamente cosa riesco a fare (o a non fare) di tutto questo, ma sicuramente so dove vorrei arrivare e cosa vorrei evitare.

Antonello Venditti, Notte prima degli esami

1 commento:

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