07 maggio 2023

In difesa delle maschere (o forse no?)


"I maschi non piangono mai.
I maschi sono dei combattenti.
I maschi sono guerrafondai.
I maschi premono il grilletto.
I maschi prendono le cose di petto.
I maschi devono essere virili.
I maschi provano sempre attrazione,
I maschi non sono gracili.
I maschi amano le ragazze facili.
I maschi hanno sempre ragione"

La quarta di copertina di un libro conosciuto l'altro ieri e acquistato ieri ("Un ragazzo è quasi niente" di Lisa Balavoine) è un pugno nello stomaco: il romanzo, scritto in poesia - esperimento incredibilmente riuscito - racconto di Romeo, ragazzo di 16 anni, che non sente di aderire - neppure in minima parte - agli stereotipi di genere, alla maschera che ci si sente quasi in dovere di indossare per essere socialmente accettati. Ovviamente, non vale solo per gli adolescenti, non vale solo per i maschi.

La maschera è una difesa, è un modo per nascondere una parte di noi stessi che temiamo non piaccia agli altri, per preservare il nostro tallone d'Achille, quel piccolo appezzamento di anima che sappiamo essere vulnerabile. E a nessuno di noi piace esserlo, nessuno ama essere in balia degli altri, pochi accettano l'idea che per la propria salvezza non passa solo attraverso le proprie mani.

Scegliere di mostrarsi per ciò che si è è un atto di coraggio e di fiducia, in sé stessi e negli altri: ma, come diceva Manzoni, il coraggio, uno, se non ce l'ha mica può darselo

Non è una colpa non avere coraggio, così come non lo è non avere fiducia in sé e negli altri: la sopravvivenza, a quel punto, richiede l'assunzione di una identità comoda, prêt-à-porter, già collaudata. Sono il maschio alpha e perfettamente concluso e sicuro di sé, sono la donna bella e stronza, sono il maschio calcio-birra-fi*a, sono la donna mamma. Facile, no?

Ma cosa succede quando poi la distanza tra ciò che mostriamo e ciò che siamo diventa incolmabile? O se ci immedesimiamo tanto nel nostro ruolo che la maschera modella la nostra identità al punto da farci dimenticare chi siamo realmente? Ma soprattutto, saremmo pronti ad un mondo in cui ognuno si mostra per ciò che è, abdicando a ruoli e a convenzioni ancestrali? Immagino un mondo in cui tutti ci dicono la verità, in cui non c'è filtro, protezione, difesa. 

Nel 1977, nella raccolta Diario di quattro anni, Montale scriveva così:

Chissà se un giorno butteremo le maschere
che portiamo sul volto senza saperlo.
Per questo è tanto difficile identificare
gli uomini che incontriamo.
Forse tra i tanti, fra i milioni c'è
quello in cui viso e maschera coincidono
e lui solo potrebbe dirci la parola
che attendiamo da sempre. Ma è probabile
che egli stesso non sappia il suo privilegio.
Chi l'ha saputo, se uno ne fu mai,
pagò il suo dono con balbuzie o peggio.
Non valeva la pena di trovarlo. Il suo nome
fu sempre impronunciabile per cause
non solo di fonetica. La scienza
ha ben altro da fare o da non fare.

Saremmo pronti? Credo di no. 

Nirvana, Come as you are

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