05 marzo 2023

Pane e coraggio

"L'Italia è un paese razzista".

Lo dice tra i denti e a bassa voce P. ma è al primo banco ed io la sento: le chiedo di ripetere quello che ha detto.

"L'Italia è un paese razzista, profe. Glielo dico per esperienza"

È nera P. ed è mia alunna da tre anni, ma solo in quel momento mi sono concentrato su questo particolare. Mi hanno insegnato che si dice nera, non di colore per il semplice motivo che anche il bianco è un colore per cui di colore lo saremmo tutti e poi questa espressione puzza un po' di censura dovuta al pudore, di tentativo di girare intorno ad una parola pur di non dirla, edulcorandola come se fosse qualcosa di sbagliato.

Tutto è partito da un post di Espérance Hakuzwimana Ripanti, autrice del libro Tutta intera che, come raccontavo in un altro post, sto leggendo con le mie studentesse e i miei studenti: la scrittrice, che avremmo dovuto incontrare a scuola tra qualche settimana, ha deciso di interrompere il tour promozionale del libro. Ho provato ad immaginare cosa possa spingere ad una decisione così impegnativa una persona di trent'anni che pubblica il suo primo libro con una casa editrice importante e che dovrebbe essere motivatissima ad andare avanti e dovrebbe avere una incredibile voglia di emergere e di raccontare.

Quando le ho lette, quelle parole mi hanno fatto male: difficoltà economica, pesanti stati di ansia, frustrazione e subdoli atti di razzismo, tutto concentrato in poche righe. Se dico che capisco in realtà sto inconsapevolmente mentendo perché non so cosa voglia dire avere 20€ sul conto, svegliarsi piangendo o andare a letto con la tachicardia, ma soprattutto non so cosa voglia dire essere nero. Mettersi nei panni di è una pratica di cui ci si riempie spesso la bocca, ma che, nei fatti, resta un modo di dire: posso provare vicinanza umana, empatia ma non posso comprendere. E quindi non posso giudicare.

Condivido con le mie studentesse e i miei studenti il post: P. allora mi racconta quello che lei e sua madre hanno subìto e io provo rabbia: non l'ho mai sentita parlare così tanto, non ho mai visto il sorriso scomparire così improvvisamente dalle sue labbra. E il pensiero è andato al naufragio di Cutro: non alla tragedia, non al dramma di Cutro. Le parole altisonanti sembrano dare più importanza ad un evento e invece ne sottraggono la componente umana: per una tragedia, per un dramma nessuno può fare nulla, per un naufragio sì, ma tra il dire e il fare - mai come in questo caso - c'è di mezzo il mare e la volontà di sottolineare che la colpa non è mai da ascrivere a chi (non) accoglie, ma a chi parte.

E la mia mente corre all'Eneide e alle parole di Ilionèo che, giunto sulla terraferma dopo un lungo naufragio, pronuncia di fronte alla regina Didone queste parole: 

Ma che gente è questa? Che barbara patria consente
usi cosiffatti? Ci è interdetto l'asilo della riva,
ci muovono guerra, vietano di stanziarci in terraferma.
Se spregiate il genere umano e le armi dei mortali,
temete almeno negli dèi la memoria del bene e del male

Enea, un troiano, un turco, uno straniero, considerato dai Romani - popolo tendenzialmente rozzo e autocentrato - come un eroe, capostipite della propria stirpe, incarnazione dei valori che qualunque bravo cittadino avrebbe dovuto condividere.
Basterebbe questo a superare qualunque forma di razzismo.
E invece no. 

Ivano Fossati, Pane e coraggio

2 commenti:

  1. Tra il dire e il fare c'è di mezzo (a)mare!

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  2. Commento bello quanto il testo! Amare è difficile,però! Soprattutto quando l'amato/a/i ci toglie qualcosa !

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