Lavorare stanca e ciò è insito nella sua etimologia: il latino labor vuol dire, appunto, "fatica".
Il lavoro è la punizione di Dio per Adamo che non ha obbedito ai suoi comandi, ma è anche, secondo Virgilio, un premio in quanto permette all'uomo di evitare il gravis veternus, il pesante torpore di inerzia. Il lavoro è, secondo il vecchio adagio, ciò che nobilita l'uomo ed è ciò su cui è fondata la nostra Repubblica secondo il primo articolo della Costituzione.
Ultimamente, però, il lavoro sembra diventato un'ossessione: nella società della performance in cui viviamo e da cui siamo permeati, cerchiamo sempre di essere (o di mostrarci) impegnati, ricercati, indaffarati per apparire sempre al meglio e sul pezzo; se abbiamo del tempo libero ci sentiamo quasi in colpa, dopo un primo momento di ebbrezza.
A questo va aggiunto anche quello che il filosofo austriaco Ivan Illich chiamava lavoro ombra, ovvero tutto quel lavoro che, grazie all'automazione, noi facciamo al posto di altri senza essere retribuiti: siamo i commessi del nostro supermercato, i nostri agenti di viaggio, gli impiegati del check-in all'aeroporto. In tutti questi casi, a toglierci tempo è stata proprio quella tecnologia che, invece, ci lusinga costantemente con la promessa di farci avere più tempo per noi. Ma lo vogliamo realmente?
Quindi, in cosa abbiamo sbagliato? Qual è stato il punto di rottura? Ma soprattutto come si esce da questo labirinto apparentemente senza uscita? Da una parte senza lavoro non si può vivere, dall'altra diventiamo work-addicted e lo rendiamo nostra unica ragione di vita, un dio pagano a cui sacrificare ogni nostra energia e ogni nostro momento.
"Monotona cosa è il genere umano. Quasi tutti passano la maggior parte del tempo a lavorare per vivere, e quel po' di libertà che gli avanza li opprime talmente tanto che cercano con ogni mezzo di liberarsene". Scriveva così Goethe nel 1774 nel romanzo I dolori del giovane Werther.
Gli uomini si sentono, paradossalmente, oppressi dalla libertà tanto che cercano ogni mezzo per liberarsene e il mezzo privilegiato per raggiungere questo fine è il lavoro.
Sono passati 250 anni e non è cambiato nulla, anzi: ma io lavoro per non stare con te suona davvero come la frase-chiave di una generazione, o forse proprio di un momento storico, in cui stiamo perdendo il senso della comunità, resa sterile dalla finta socialità internettiana, a tutto vantaggio dell'individualità, del risultato individuale, del solipsismo.
Forse è il momento di rendersene conto e di cercare una strada alternativa.
Franco Battiato, Un'altra vita
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