09 ottobre 2022

Di Leopardi, feste di compleanno e oculisti

C'è un merito che va ascritto a Leopardi: anche gli studenti più sonnacchiosi quando sentono parlare del giovane favoloso, al netto delle battute sulla gobba, sulla sfiga e (cito testualmente) su Silvia che pur di non dargliela è morta, non riescono a restare indifferenti. In rarissimi casi, nascono anche discussioni interessanti, si formano schieramenti di ultras (che talvolta temo possano arrivare alle mani): da una parte ci sono quelli che difendono il povero Giacomo dicendo che ha ragione, dall'altra ci sono quelli che "no, raga, non può essere che la vita faccia davvero così schifo" e poi ci sono quellƏ che controllano la propria squadra di fantacalcio o scrollano pigramente la propria pagina di Instagram.

Dentro di me, pur essendo leopardiano fino al midollo, penso sia sacrosanto che ragazzi e ragazze diciottenni non condividano una visione così razionalmente disperante della vita: è l'età delle illusioni, quella - e se si legge A Silvia lo si capisce chiaramente - ed è giusto pensare che la vita sarà bellissima. Ci penserà il tempo a svelare la verità, quando si è adulti, strutturati e pronti ad accoglierla: non sapere come stanno realmente le cose è sempre un ottimo modo per vivere felici. 

Ieri, durante la festa di compleanno di Figlio1, osservavo la gioia scomposta di bambini e bambine, li vedevo ballare, cantare, picchiarsi (e non escludo che - lontano dagli occhi dei genitori - abbiano dato vita anche a qualche sacrificio umano: non mi sono premurato di controllare se il numero di bambini entrati alla festa fosse uguale a quello dei bambini usciti). Quello che ho notato è che a loro basta veramente poco per essere felici. Corrono e ridono. Mangiano e ridono. Dicono cose senza senso e ridono. Vederli felici ha reso felice anche me.

Mai nella vita ricapita una felicità facile come durante l'infanzia. 

La mia felicità di bambino era andare dall'oculista: sapevo che mi avrebbe messo le gocce per dilatare le pupille che mi avrebbero impedito di svolgere i compiti per il giorno successivo, quando sarei andato a scuola tutto tronfio esibendo come un trofeo la giustificazione scritta dai miei genitori.

La mia felicità di adulto è andare in libreria, magari dopo aver atteso l'arrivo di un libro: prenderlo, sfogliarlo e poi prenderne almeno un altro per fargli compagnia nel sacchetto (non vorrei mai soffrisse di solitudine); la mia felicità di adulto è poter trovare un attimo per parlare con calma con le persone a cui tengo e scoprire che, nel turbinio continuo in cui siamo avvolti e da cui siamo sconvolti, i fili che mi legano a loro non si spezzano mai. 

Probabilmente non esiste la felicità. Esistiamo noi che siamo felici. a volte solo per un attimo, a volte a fasi alterne, altre volte (poche volte) per una vita intera.

Carmen Consoli e Mario Venuti, Mai come ieri

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