16 ottobre 2022

Chiamami per nome (e cognome)

Diciamolo una volta per tutte: i Romani (intendo gli antichi), fatte le debite eccezioni, erano un popolo di rozzoni, beceri maschilisti, una sorta di celoduristi della prima ora, senza il minimo rispetto per la figura femminile.

Le donne non avevano nome, ma a loro era riservato il nome gentilizio, ovvero il nome della stirpe a cui appartenevano, declinato al femminile: ovvero, se appartenevi alla gens Iulia ti chiamavi Giulia, alla gens Claudia ti chiamavi Claudia e così via. Per evitare confusioni, poi, si distinguevano le varie donne di casa - che portavano tutte inevitabilmente lo stesso nome - distinguendole con maior, minor quindi "più grande" o "più piccola". Tra le poche donne a cui spettava un nome c'erano le prostitute, donne di bassa estrazione sociale il cui nome era spesso legato ad una loro caratteristica fisica (ad esempio Rutilia era una donna rossa di capelli). 

La condizione femminile era di perenne minorità: le donne passavano dal dominio del padre al dominio del marito (e il gesto del passaggio dal padre al marito è rimasto ancora nel matrimonio cristiano) a cui da quel momento spettava il compito di domare le passioni  - sempre esagerate - della donna. Al momento della morte, apparentemente, avevano finalmente il loro riscatto: i mariti dedicavano loro parole di stima (mai di affetto, per carità) per essere state delle buone madri, mogli, domestiche; "sono sempre i migliori quelli che se ne vanno", verrebbe da dire, ma in realtà la lode della donna nascondeva la lode ai familiari (maschi) che erano riusciti a tenerne a freno gli istinti rendendola aderente all'immagine che di sé era opportuno dare.

Quindi, donne senza nome, senza identità, senza volontà.

Certo, essere liberi dal nome - che si sia uomini o donne - diventa un privilegio per Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello: stufo di sentirsi attribuire dagli altri delle identità che non aderiscono al suo modo di essere, decide di rinunciare al proprio nome (quindi, comunque, un atto volontaristico, non un atto imposto da altri) per preservare la propria libertà.

Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d’oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita ; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace e non ne parli più. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo. 

Ma questa è tutta un'altra storia.

È di questi giorni la polemica sul capitano Samantha Cristoforetti, chiamata Astrosamantha: non evidenziare il tuo titolo, negarle il cognome è stato percepito come una volontà di sminuirla con l'intento di renderla più vicina e quindi - in quanto donna - più rassicurante. Mai sia che una donna possa essere un capitano e possa svolgere lavori da uomini (tanto che infatti l'utente medio di Facebook ha avuto da ridire sull'acconciatura che il capitano aveva in una foto). Avete mai sentito parlare di Astroluca? Mai, perché Luca Parmitano non ha necessità di questi nomignoli.

Nelle ultime settimane si è anche discusso della scelta del vocabolario Treccani di inserire, accanto alle forme maschili, anche le forme femminili per cui, ad esempio, il lemma dottore è riportato come dottore, dottoressa. L'utente medio di Facebook - sempre lui oppure lei - ritiene che sia una scelta inutile, legata alla moda senza comprendere che, invece, finché non diamo un nome alle cose, le cose non potranno essere concepite: ad Adamo Dio ha dato il compito di nominare le cose non affinché esistessero (esistevano già, le aveva create lui..) ma affinché l'uomo le potesse comprendere e far diventare parte del proprio modo di pensare. Se accanto a sindaco esiste sindaca è perché questo incarico può essere ricoperto indifferentemente da un uomo e da una donna e non è mai superfluo ricordarlo.

Dare un nome, un cognome e un titolo vuol dire riconoscere - anche formalmente - la dignità di una persona; negarglielo vuol dire cercare di rendere la persona più vicina alla ggente ma - magari - anche distruggere in un attimo tutto quello che quella persona (spesso di sesso femminile) ha fatto per giungere fino al punto in cui si trova. Pensiamoci.

Mia Martini, Donna

1 commento:

  1. Massimo seriacopi16/10/22, 10:24

    Caro Luca, analisi finissima e davvero degna di riflessione

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Lettera a BN

Caro BN, mi rendo conto che è da un po' di tempo che non ti scrivo e questo non depone a mio favore. Sono passati i tempi in cui, con un...