A me è maggio che mi rovina
e anche settembre, queste due sentinelle
dell'estate: promessa e nostalgia.
Patrizia Cavalli, morta proprio all'inizio dell'estate che sta volgendo al termine, dedica queste parole a maggio e settembre: promessa e nostalgia.
Più prosaicamente, e confidando nel perdono della poeta (come la battezzò Elsa Morante), io mi fermerei al primo concetto: a me è settembre che mi rovina, da sempre. 30 giorni reali, 300 percepiti.
Quando andavo all'università, settembre era il mese dedicato agli esami che rientravano nella categoria poilifaccio: non erano esami difficili, quelli che richiedevano studio matto, disperatissimo e concentrato - come sempre - negli ultimissimi giorni quando non nelle ultimissime ore. Erano gli esami che rimandavo per pigrizia e che poi affrontavo con l'entusiasmo con cui si affronta una colonscopia.
Quando ho iniziato ad insegnare, settembre era il mese dell'attesa delle famigerate nomine dal Provveditorato (ufficio che nel frattempo ha cambiato 15 nomi): consultazioni febbrili dei siti istituzionali, loschi accordi sottobanco con gli altri aspiranti docenti, tentativi di sabotaggio nei confronti di coloro che erano più alti in graduatoria... il tutto per strappare - nella migliore delle ipotesi - un contratto fino al 30 giugno dell'anno successivo che avrebbe garantito un minimo di stabilità economica e psichica per i dieci mesi successivi. Correggo: solo un minimo di stabilità economica perché la stabilità psichica, in certe scuole e con certe classi, era un miraggio.
Il primo settembre è iniziato il mio diciannovesimo anno di insegnamento, l'ottavo (ma andrebbe bene anche lottavo) da docente di ruolo e il mese in questione è sempre fonte di ansie. Da bravo scolaretto, ho già acquistato della nuova cancelleria, sto pensando a qualcosa di nuovo che mi piacerebbe fare quest'anno - anche perché se dovessi fare le stesse cose potrei anche portare un cartonato con la mia veneranda immagine e inviare un audio delle mie lezioni e non escludo che qualcuno lo faccia, pur senza cartonato e senza audio preregistrato - ma soprattutto sto programmando tutto con meticolosità ben sapendo che entro dicembre andrà tutto all'aria perché non avrò considerato le migliaia di variabili che ogni giorno allietano la vita di qualunque docente.
Le domande che mi pongo sono sempre le stesse: mi chiedo se riuscirò ad insegnare e ad imparare qualcosa, se sarà possibile intravedere una scintilla di interesse rispetto a quello che dico negli occhi e nelle menti annebbiate dalle varie Ferragni e De Filippi, se e in quanto tempo farò scomparire i vari apposto, avvolte, vabbene dai compiti scritti. Mi chiedo, poi, se riuscirò a mantenere la calma di fronte ai continui e costanti attacchi rivolti alla scuola: è di qualche giorno fa, ad esempio, la notizia della pagella di Piero Angela seguita dai soliti commenti indignati dell'utente di medio di facebook, di quelli che mi hanno buttato in mezzo ai lupi e ne sono uscito da capo branco, riassumibili con "la squola fà skifo e non serve a niente; li insegnanti sono pacati per non fare nulla; per fortuna che io ho stato furbo e mi ho letto tutte le cose ke ci nascondono sull'internet". Noterella a margine della vicenda: la scuola, nel periodo in cui l'ha frequentata Piero Angela, non era né migliore, né peggiore, ma era semplicemente diversa, come diversa era la società e diversi erano gli uomini e le donne. Fare paragoni, quindi, non ha alcun senso e non dimostra affatto che la scuola non valorizza i talenti, anche se non nego che questo possa accadere; non sono rari, inoltre, i casi di studentesse e studenti che sbocciano all'università e subiscono la trasformazione da capra in genio.
Una volta ho detto ad un mio caro amico che, di fronte ad una classe, mi sentivo come Michelangelo di fronte ad un blocco di marmo: non con lo scalpello e il martello (purtroppo) ma con la lettura avevo la speranza di trasformare quella massa ancora informe in un'opera d'arte. Ovviamente la reazione fu uno sguardo che voleva dire "Povero illuso", ma, finché continuerò a coltivare questa speranza, sarà bello aspettare l'inizio della scuola, nonostante settembre.
Condivido alla lettera. Per me è il 37° anno! La scuola vive di relazioni più che di regole. Lavorare perché i ragazzi diventino più telemachici che telematici, per dirla con D'Avenia.
RispondiEliminaPicuccio L.