25 settembre 2022

Famiglia: (d)istruzioni per l'uso

 "C'è un momento nella storia di ogni famiglia in cui si appare felici a se stessi. Magari non lo si è affatto. Ma lo si porta scritto in faccia: io, famiglia da poco composta, sono nella mia pienezza e necessità, sono il cibo per l'occhio altrui, sono la carne terrena che imita la carne divina, sono la Famiglia nella sua beatitudine terrena. La si lascia stampata nelle fotografie questa felicità, sprizza dagli occhi, dai vestiti, dall'unità interna, da quel chiedersi, cercarsi, spingersi, annusarsi che abbiamo in comune con gli animali.

Dopo, non si sa come, tutto si rompe, prende a sfaldarsi. La rosa ha dato il meglio di sé, ora perde i petali a uno a uno e assomiglia più a un dente cariato che a un fiore. L'odore è l'ultima cosa che se ne va; quel leggero sentore di carni addormentate, di fiati teneri e giovanissimi, quel profumo di necessità che costituisce la perfezione della famiglia nel suo nascere.

È orribile trovarsi adulti, ormai usciti da quel paradiso dei sensi e degli odori, e capire di avere conservato quella felicità solo in qualche fotografia. Un singulto nel ritrovare nelle narici quegli odori di letti materni e sapere che sono persi per sempre".

Così Dacia Maraini nel suo romanzo Bagheria parla della famiglia ed è difficile non ritrovarsi in queste parole. 

È strano pensare alla famiglia: si nasce e ci si trova in mezzo ad un gruppo di persone sconosciute a cui siamo collegati da questioni strettamente genetiche e si pretende che da questa condivisione di cromosomi nascano dei rapporti affettivi, senza possibilità di scelta.

"Vuoi bene alla mamma? Al papà? Alla nonna? Alla zia di ventiquattresimo grado?". Come si può pretendere che i bambini rispondano di no? Non ci è concesso, e, forse, da bambini non conosciamo neppure esattamente cosa significhi voler bene. Vogliamo bene a tutti perché assecondano i nostri bisogni, non ci fanno mancare niente e, quando questo non succede, vogliamo bene ai nostri parenti perché banalmente sono le uniche persone che conosciamo. È la trappola della famiglia così come la intendeva Pirandello, dalla quale non riusciamo ad uscire se non diventiamo adulti.

C'è poi il momento della creazione della famiglia: ci si sente onnipotenti per aver esercitato la propria forza creatrice, per aver trasmesso i propri geni a quel neonato che, prima o poi, divenuto adulto inizierà ad esercitare il proprio sacrosanto diritto di scelta, decidendo a chi voler bene realmente e a chi rivolgere l'affetto di facciata legato a cause di tipo squisitamente genetico.

Il momento della scelta è il momento della crisi della famiglia (non a caso, la parola crisi deriva proprio dal verbo greco krìno che vuol dire "scegliere"). Alcune facciate iniziano a crollare, altre si rinsaldano divenendo così spesse da non poter essere buttate giù nemmeno dal più violento terremoto; segreti nascono, crescono e marciscono all'interno dei gruppi familiari, costituendo una minaccia per gli stessi gruppi; odii, invidie gelosie vengono sussurrate a mezza bocca alle spalle dei destinatari salvo poi scomparire alla cena di Natale quando siamo tutti più buoni (e a me viene l'orticaria).

Non è sempre e per forza così: nonostante la mia famiglia mi abbia permesso di passare un'infanzia e un'adolescenza serena, pur con i limiti di ognuno  e le naturali difficoltà di relazione all'interno del gruppo, ricordo la sana invidia che provavo vedendo famiglie sorridenti che andavano a prendere il gelato tutti insieme e pensavo a quanto sarebbe stato bello condividere con loro quelle gioie.

Si sente spesso parlare di famiglie disfunzionali: ci riflettevo guardando la serie Netflix Il diavolo in Ohio e la docuserie, sempre targata Netflix, Wanna: da una parte la tipica famiglia americana, sconvolta dall'arrivo in casa di una ragazza scappata da una setta religiosa e vittima sacrificale designata dal padre; dall'altra la storia della teleimbonitrice più famosa degli anni '80 e '90 che trascina con sé la figlia nel suo mondo fatto di ottime capacità comunicative e di ciarlataneria.

Ma a pensarci bene, quale famiglia non è disfunzionale? Quale famiglia non è percorsa da queste continue tensioni? Forse il funzionamento della famiglia si vede proprio nel resistere a queste tempeste, che portano con sé l'inevitabile perdita (volontaria o involontaria) del carico in eccedenza ma il rinsaldarsi dei legami tra l'equipaggio che rimane a bordo.


The Cranberries,   Ode to my family

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