28 agosto 2022

La paura del vuoto

Me lo ricordo bene il tardo pomeriggio della domenica durante le mie estati passate sul Gargano.

La messa celebrata all'aperto, i villeggianti del fine settimana che riponevano ombrelloni e sedie nelle loro auto e si apprestavano a ritornare in città, le persone che giocherellavano con i gettoni o le schede telefoniche in attesa di poter usare le cabine disposte in file ordinate in pineta.

Era un tempo diverso, in cui non eravamo compulsivamente connessi con gli altri: ricordo che al momento della partenza per il mare ero felice perché per un mese non avrei sentito suonare il telefono, il citofono, il campanello della porta. Ci si preoccupava degli altri dedicando loro il pensiero, dedicando loro ogni pensiero che occupava i giorni tra una telefonata ed un'altra; c'era il tempo di metabolizzare le gioie e le sofferenze perché la possibilità e la necessità di comunicare non erano così compulsive come lo sono ora. La scelta dei destinatari delle cartoline, poi, era un vero e proprio impegno, così come lo era la scelta delle parole: formule convenzionali per i nonni, promesse di rivedersi presto per gli amici e le amiche più care, mezze parole d'amore per la persona amata lontana. Una volta spedite, la parola ritornava all'immaginazione: la cartolina tra le mani del destinatario, la sua reazione; il momento in cui sarei tornato a casa, i miei che aprono la cassetta strabordante di posta e io che individuo, tra buste e volantini, le cartoline destinate a me.

Attesa. È una parola che ora ci fa paura. Mando un messaggio su whatsapp: perché non mi risponde subito? Controllo tutto: l'ultimo accesso, se è online, se lo ha letto. Abbiamo fretta, sempre fretta, come il Bianconiglio. Abbiamo perso la capacità di aspettare: acquistiamo su Amazon e siamo abbonati a Prime perché così l'oggetto che desideriamo arriva il giorno dopo. E se provassimo a rallentare? Ho riscoperto, ad esempio, la bellezza di frequentare la libreria della mia città; ci vado per acquistare un libro (e poi ne esco almeno con due, ma questa è un'altra storia...), pronto a sentirmi dire che il libro non c'è e va ordinato. E alimento il gusto dell'attesa.

Vorrei uscire dalla logica del bordello, quella per cui pago e ottengo immediatamente ciò che voglio, senza dover attendere o impegnarmi per raggiungere il mio obiettivo. Bisognerebbe tornare a corteggiare i nostri oggetti del desiderio.

Silenzio. È un'altra paura che ci attanaglia nonostante sia - come scrive Vera Gheno nel suo libro Le ragioni del dubbio che vi consiglio con la stessa forza con cui vi intimo di non mettere il parmigiano sulla pasta col tonno - una delle forme di comunicazione e non assenza di comunicazione. Lo abbiamo scoperto tutti durante il lockdown e abbiamo provato ad esorcizzarlo improvvisando show al limite (e talvolta anche oltre il limite) dell'imbarazzo sui nostri balconi. Ora il silenzio è diventato anche uno strumento di potere: il ghosting è una delle forme più subdole di violenza che esista e si nutre proprio del nostro essere così assuefatti ad una comunicazione costante e frastornante. I silenzi, le pause sono fondamentali anche nella musica: in qualunque spartito le pause sono perfettamente codificate e vanno rispettate con la stessa attenzione e precisione con cui si suonano le note. Va considerato come il tempo in cui riprendere fiato, in cui riflettere su ciò che ci è stato detto e su ciò che possiamo a dire a nostra volta.

C'è stato un tempo in cui ricevevo e spedivo lettere (l'ultima credo di averla scritta, ormai, dieci anni fa ma mi piacerebbe riprendere questa abitudine): aprire la busta - pratica che ormai richiama alla mente solo la De Filippi - guardare la grafia del mittente, talvolta accarezzare il foglio per sentire il tratto più o meno calcato, cercare di leggere anche sotto le cancellature, riflettere su cosa scrivere, scrivere, rileggere, cancellare, riscrivere. E dopo aspettare, rispettando il tempo più o meno lungo di silenzio che intercorreva tra una lettera e l'altra. E no, non avevo fretta di ricevere la risposta, sapendo che sarebbe prima o poi arrivata e non temevo quel silenzio perché non era un tempo vuoto ma era lo spazio dell'immaginazione.

Depeche mode, Enjoy the silence

2 commenti:

  1. Mi hai appena dato un'idea per un compito da assegnare ai ragazzi al rientro a scuola... Cmq le mie ultime lettere risalgono ad almeno 16 anni fa!!!!

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  2. Caro Luca, mi dispiace di perdere il contatto continuo con te nei corridoi perché sei eccezionale nell'esprimere sentimenti che condivido. Ti prego: non mi cancellare dai tuoi contatti perche' in questa estate torrida il tuo blog è stato un piacevole appuntamento. Comunque nemmeno i vecchi mandano più cartoline!! Eppure sarebbe bello riceverne. Sigh!!

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