Lo so, questo calembour sembrerebbe brutto anche ai titolisti della Gazzetta dello Sport ma mi sembrava il modo migliore (immaginate il peggiore…) per parlarvi di uno degli ultimi libri che ho letto, rigorosamente in cartaceo perché ho bisogno del contatto fisico con le pagine, devo poter tornare indietro per memorizzare quella parola che mi è piaciuta, ma devo anche poter andare avanti ed esercitare i diritti imprescrittibili del lettore di Daniel Pennac (nella cui lista manca quello che io pratico spesso e volentieri ovvero leggere un libro fino alla fine perché magari migliora e poi maledirmi per aver perso tempo perché no, non tutto migliora). Il libro in questione è
L’estate del coniglio nero di Kevin Brooks, Piemme 2014
Ho scoperto questo libro quasi per caso durante la manifestazione Mare di libri che si tiene a Rimini ogni anno e che presenta una serie di eventi ed incontri con autori di libri di letteratura young adult.
Qualcuno adesso storcerà il muso immaginando testi dalle copertine improponibili e con colori così accesi che causano attacchi di epilessia e/o cecità temporanea, e dal contenuto melenso per cui lui ama lei che ama un altro e tutti sono afflitti da problemi adolescenziali, dall’acne alla famiglia disastrata a quella tempesta ormonale che ti fa sognare di accoppiarti con qualunque cosa/animale/persona abbia delle sembianze appena sopra il gradino del disgusto; soprattutto, però, quello che disturba è che tutto finisce sempre bene, vivono tutti felici e contenti lasciando infelice e scontento solo il lettore che, invece, resta brufoloso, con la famiglia disastrata e con qualunque desiderio inappagato.
Ad un certo punto, però, mi sono detto che non era possibile continuare ad ignorare una parte di letteratura a cui attingere per scegliere i libri da far leggere ai miei pargoli (che poi, li chiamo pargoli ma sono tendenzialmente donne e uomini con cervello idee muscoli ben più strutturati dei miei) e soprattutto far leggere “Zanna bianca” come ho visto e vedo fare da colleghe e colleghi in ogni parte di Italia in cui ho insegnato, meravigliandosi poi del fatto che i ragazzi abbiano trovato un filino poco moderna una storia ambientata durante la corsa all’oro nel Klondike (la stessa di Zio Paperone, per intendersi).
Intendiamoci, questo libro non è il capolavoro della letteratura, quello di cui in quarta di copertina si trovano le lodi sperticate da parte di un altro autore che giura di non aver mai letto un libro più bello (salvo poi comparire virgolettato sulla copertina di un altro libro che - assicura - è il migliore che abbia letto negli ultimi anni); è, però, una storia coinvolgente che vede protagonisti dei ragazzi, un covo segreto, una divetta di provincia e “quellostrano”. In una estate calda e sonnolenta, come sanno essere le estati di provincia nei paesi lontani dal mare, un gruppo di adolescenti decide di passare una serata insieme prima nel proprio covo utilizzato qualche anno prima e ormai in disuso perché sono cresciuti e poi al luna park.
Proprio il luna park diventa il luogo della sparizione di due di loro, la divetta e quellostrano (a cui è legato il coniglio nero del titolo), e Pete, il protagonista del racconto, farà di tutto per riuscire a ristabilire la verità. Nessun elemento è tralasciato in questa storia e, anche se non tutti i passaggi e i personaggi sono analizzati a fondo e in maniera originale, ognuno di essi costituisce il pezzo di un puzzle che risulta piacevole alla lettura e che incuriosisce perché la figura diventa comprensibile letteralmente all’ultima pagina, pur lasciando una parte della storia in sospeso.
Colonna sonora ideale, un pezzo che mi ricorda le mie estati da tardoadolescente (o da adolescente tardo, che forse è la definizione più adatta) e che mi riporta a quei pensieri, odori, sapori e disagi: Lunapop, Qualcosa di grande.
Screenshottato... Da ordinare quanto prima!
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