- Ciao, sono Luca e da ventiquattro ore non parlo di Moby Dick
- Ciao, Luca!
Ormai mi immagino così, in una stanza con le sedie messe in circolo, per confessare le proprie dipendenze.
La balena bianca e Achab hanno occupato militarmente quattro mesi della mia vita e la loro lotta è diventata la mia. 120 giorni circa per oltre 800 pagine
Ho odiato profondamente questo romanzo e sono stato più volte sul punto di mollarlo: nella mia vita non avevo mai pensato di voler avere approfondite informazioni su tutti i dannati tipi di balene esistenti nel mondo, sulla nomenclatura di ogni minuscola parte di una barca, sul modo corretto di squartare una balena franca.
L'ho odiato perché le descrizioni spezzano continuamente la narrazione e sono talmente lunghe da far perdere il filo del discorso.
L'ho odiato perché il lessico marinaresco è spesso di difficile comprensione per me che - prima di questa lettura - non riuscivo a distinguere poppa e prua.
- Ciao, sono Luca e non ricordo mai la distinzione tra longitudine e latitudine ma ora riesco a ricordarmi il nome della parte anteriore e di quella posteriore della barca.
In Moby Dick, però, c'è molto altro.
Ho trovato tre buone ragioni per leggere questo romanzo che può effettivamente risultare respingente:
1. La lotta tra il bene e il male
La trama del romanzo - che fu pubblicato da Melville nel 1851 e che ebbe inizialmente un successo editoriale pari a quello di un libro sul cinema polacco di argomento politico - è nota più o meno a tutti: il capitano Achab parte sulla sua baleniera, il Pequod, per andare - ufficialmente - a caccia di balene ma in realtà per vendicarsi di una capodoglio - Moby Dick, appunto - che nel loro scontro precedente gli ha portato via una gamba. Il capitano, che guida un equipaggio di 30 persone, fa giurare a tutti che non lo abbandoneranno mai e passa la sua vita a bordo chiuso nella sua cabina a cercare di stanare il suo nemico numero uno.
Di questo capitano si dice che è un pazzo, monomaniaco. ha perso ogni umanità e lo dimostra diverse volte nel corso del viaggio. Non ha pietà per chi lo ostacola: vuole solo raggiungere il suo obiettivo.
E la balena?
Moby Dick non fa altro che fare la balena. Vaga per gli oceani, apparentemente imprendibile. Su di lei si dice di tutto: ha il dono dell'ubiquità, è feroce, è immortale. Compare in scena solo alla fine del romanzo (ed è assurdo pensare che l'eroe eponimo, cioè chi da il nome all'opera, faccia la sua apparizione solo nell'ultima scena.
Fa la balena, dicevo, Moby Dick: ricorda un po' la Natura del dialogo leopardiano. Segue il suo percorso e non si cura di chi vuole in tutti i modi sovrastarla. Di chi ammattisce per lei.
L'interrogativo che mi sono posto alla fine della lettura del libro è stato: chi è il buono e chi è il cattivo? Certo, la balena ha causato la perdita della gamba del capitano, ma questo giustifica in qualche modo l'atteggiamento di Achab che causa la morte del suo equipaggio?
È un eroe titanico, Achab, che decide di sfidare i limiti imposti dalla natura oppure subisce la giusta punizione per la sua hybris, per la sua tracotanza?
Spoiler: non vi aspettate una risposta dal libro. La risposta è dentro di voi (ed è sbagliata come diceva qualcuno)
2. Chi è la nostra Moby Dick?
Alzi la mano chi è andato a caccia di balene.
Credo nessuno, ma sarebbe meraviglioso essere smentito.
Se è vero - come è vero - che la letteratura deve raccontare qualcosa in cui noi possiamo riconoscerci, allora Moby Dick sarebbe uno dei romanzi che dovremmo evitare come la peste.
Non siamo ramponieri, non ci interessa la produzione dell'olio di balena né tanto meno la storia della balena fossile o il funzionamento della sagola.
Però è anche vero che, spesso, proprio un libro totalmente distante da noi ci può portare ad una riflessione su noi stessi.
La seconda domanda che mi sono posto, infatti, è stata: Chi è la mia Moby Dick? Cosa cerco incessantemente? Qual è il mio obiettivo, l'oggetto della mia monomania, la cosa o la persona che cerco? Qual è - se c'è - il torto subìto per il quale cerco vendetta e che fa da motore alle mie azioni?
Per chiederselo non ci vuole molto coraggio; per darsi una risposta sì
3. Pesci liberi e pesci legati
In uno dei numerosi capitoli che eufemisticamente potremmo definire di difficile lettura (e che con meno diplomazia definirei una martellata nel punto del corpo che immaginate essere il meno adatto a riceverla) Melville ci delizia con una disputa di baleneria relativamente alla corretta attribuzione della proprietà di un pesce una volta arpionato (per i più temerari che vogliano leggerlo, si tratta del capitolo 89).
Anche in questo caso, a partire da una riflessione particolare, sono arrivato ad una più generale.
Quanto della nostra vita è determinato dalla nostra volontà e quanto, invece, crediamo che lo sia?
È possibile che, in realtà, noi siamo solo legati ad una lunghissima catena di cui non vediamo il capo?
Quanto è probabile che, a nostra insaputa, le nostre vie e il nostro destino siano già segnati?
Siamo pesci liberi o pesci legati?
Questi 120 giorni avrei sicuramente potuto spenderli peggio.
E se vi ho fatto venire voglia di leggerlo, credete che non s’è fatto apposta.
Ora posso tornare sereno alla mia seduta dei B.A. (balenieri anonimi).
Banco del Mutuo Soccorso, Moby Dick
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