18 maggio 2025

100 metri

T. è una mia collega.
T. mi bullizza: statisticamente, ogni dieci parole che mi rivolge ce n'è almeno una che contiene un'offesa.
T., però, ha anche tanti e rari pregi e rientra, perciò, nel sempre più ristretto novero delle persone che considero amiche, di quelle amicizie nate in un periodo della vita in cui sai di non avere quel bisogno di amici quasi compulsivo tipico dell'età adolescenziale; proprio per questo motivo, queste amicizie sono più preziose.
Tra i vari soprannomi che mi affibbia - le 'ngiurie, avrebbe detto Verga - la più recente è Bianconiglio. Effettivamente, come il personaggio di Alice nel paese delle meraviglie, plano sempre a velocità sostenuta sul pavimento a scacchi bianchi e grigi della mia scuola: l'unica cosa che potrebbe farmi rallentare è la volontà di assecondare i miei disturbi ossessivi e andare solo sui quadrati più chiari, come fanno i bambini che saltellano quando attraversano la strada per toccare solo le strisce bianche perché altrimenti finiscono nella lava. Poi, però, mi ricordo che non sono un bambino, che saltellando potrei rompermi qualcosa e che ho ancora un barlume di dignità da difendere per cui corro, cercando di non inciampare e di ricordarmi chi sto cercando, cosa devo chiedere, chi sono, dove sono quando sono assente di me, da dove vengo, dove vado.

In effetti T. ha ragione. 
Ho sempre fretta, ho la sensazione costante che il tempo non basti mai, che le cose da fare siano troppe e tutte indispensabili. Se, però, mi fermo a pensare - una delle poche cose che ha il potere di farmi rallentare - vedo - attorno a me - tante persone che - come me - sono perennemente sui blocchi di partenza per una gara dei 100 metri.
Avverto, avvertiamo tutti, la tensione di questa gara per cui ci prepariamo costantemente, che mette in discussione mesi di preparazione in un tempo brevissimo: siamo ai blocchi di partenza, i muscoli in tensione, lo starter spara e noi partiamo.
Ci capita di vincere, ci capita di perdere, rimaniamo spesso senza fiato; l'aspetto peggiore di tutti, però, è la sensazione di dover subito ricominciare a correre perché ci attende un'altra gara a cui - per carità - sentiamo di non poterci sottrarre e per cui dobbiamo dare il meglio per non deludere nessuna delle persone che crediamo siano lì con il cronometro in mano a misurare le nostre performance.
Anche nella scuola è così: ci ragionavo proprio ieri con un'altra persona la cui presenza è preziosa nella mia vita (lo so, sono fortunato). Si è ossessionati dal procedere a tappe forzate, dal voler arrivare ad un certo punto del libro, ad un dato argomento perché poi altrimenti i prossimi anni non c'è il tempo di fare altro. Per questo motivo, rotoliamo letteralmente su argomenti, questioni, temi, parole che invece richiederebbero pausa, riflessione, tempi lunghi per far sì che tutto questo abbia un senso  che sia più profondo del numero da inserire sul registro elettronico.
E invece corriamo.

Credo sia una caratteristica di questa nostra epoca: l'obiettivo è farci ammirare e per questo ammiriamo poco quello che c'è intorno a noi: siamo un Frecciarossa che vuole stupire chi lo guarda grazie alla sua livrea colorata, impeccabile e grazie alla sua velocità: la stessa velocità che non ci permette, però, di cogliere i particolari, le sfumature di colore del paesaggio, i volti delle persone che incrociamo. Magari ce ne facciamo un cruccio, ma corriamo ugualmente perché sentiamo di dover rispondere ad una società che sembra quasi demonizzare il tempo vuoto e improduttivo, dimenticando che persino Dio il settimo giorno si è riposato.

C'è solo un momento in cui sembra di poter rifiatare: quando siamo in vacanza. Vita lenta è uno degli hashtag da social che spunta puntualmente in estate (e che personalmente mi provoca irritazioni su ogni parte del corpo) e si usa quando si vuole sottolineare il lusso che ci si prende di non correre, se tutto va bene, per due settimane all'anno.
Ma siamo davvero sicuri che sia un lusso che non possiamo permetterci sempre e che sia corretto ridurre la lentezza a una prerogativa di anziani e bambini? 
E se iniziassimo a pensare alla nostra vita come una maratona?
Quarantaduemilacentonovantacinque metri: è  impossibile pensare di correre a perdifiato per tutto il percorso. Ci saranno alcuni momenti in cui dovremo dare tutti noi stessi e concentrarci sul nostro corpo senza degnare di uno sguardo ciò che c'è intorno e altri in cui potremo quasi fermarci per ammirare il paesaggio. Tornare indietro non è consentito, ma prendere fiato sì.
E magari, conclusa una maratona, se ne può anche correre un'altra, avendo, però, il bagaglio di esperienza acquisito durante la prima.
Adelante, presto, con juicio, avrebbe detto Manzoni. E capita anche a Manzoni, ogni tanto, di avere ragione.

Francesco de Gregori, Adelante adelante

2 commenti:

  1. Bellissima riflessione. Siamo tutti ossessionati dal far vedere che siamo sul pezzo, che arriviamo subito al dunque, che la nostra vita è super performante. Ma a quale costo? La sensazione è di non goderci niente e anche lì# vita lenta, alla fine, risulta ridicolo. Dovremmo cercare di iniettare un po' di vita lenta in ogni nostra giornata.

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    1. È vero: Luca corre. Però fa una cosa che non tutti fanno:dedica tutta la sua attenzione alla persona che in quel momento gli è di fronte. La fa sentire accolta e importante. Non dimostra fretta anche se ce l'ha. L'altro è sempre più importante delle sue cose. Lo facessimo tutti:dare ascolto all'altro!.

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