14 aprile 2024

Non siete James Joyce

"Punto. Due punti. Ma sì, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in adbondandum"
Quando penso alle mie alunne e ai miei alunni che mettono la punteggiatura nei compiti in classe, li immagino esattamente come Totò e Peppino alle prese con la lettera nella famosissima scena del film "Totò, Peppino e la... malafemmina" (vi consiglio di rivederla cliccando qui perché fa sempre molto ridere). Segni da mettere a caso sulla carta, sperando di intercettare gusti di chi spiega - inascoltato come se fosse nel deserto - che ci sono delle regole nell'uso della punteggiatura. E che queste regole vanno rispettate.

Invece, cosa mi trovo davanti quando apro quei fogli strappati con violenza dal quaderno e che spesso sembra che siano stati utilizzati per incartare un panino con il lardo? Flussi di coscienza, trascrizioni fedeli di sedute psicanalitiche e poemi futuristi.
Ed è inutile provare a spiegare che loro non sono James Joyce, José (my love) Saramago o Giuseppe Berto (a proposito, se avete rapporti conflittuali con vostro padre e volete un salutare pugno nello stomaco, vi consiglio di leggete "Il male oscuro", romanzo ingiustamente dimenticato); superfluo ricordare che non puoi dire "Aboliamo la punteggiatura" a meno che tu non sia Filippo Tommaso Marinetti che scrive il Manifesto tecnico della letteratura futurista; pleonastico sottolineare che non diventerebbero Ungaretti neppure se andassero a combattere sul Carso e fossero costretti a scrivere poesie sulla carta che avvolge i proiettili.
E se poi diventeremo dei grandi scrittori? Sarò felice di essermi sbagliato.
 
Penso che loro considerino la punteggiatura un piccolo fastidio, una cosa a cui dare poco rilievo, come quell'insetto che ti ronza attorno, come quella piccola incombenza che ti tocca e non sai anche bene perché, come quella regola da rispettare di cui non capisci la ragione, tipo il check in sui biglietti del treno acquistati on line.

E invece no.
Ecco una piccola rassegna con suggerimenti rigorosamente non richiesti.

Virgola. Trauma giovanile: ogni volta che la sento nominare, nella mia mente parte un ritornello indecente: Mi chiamo virgola, sono un gattino. Sono la stella del telefonino. Se questa frase non ti dice niente, significa che sei troppo giovane o che hai passato una vita felice fino a questo momento (se poi volete rovinarvi la vita perché essere tristi fa più figo potete ascoltare qui l'abominio a cui mi sto riferendo). 
E no, non vale la regola che - mi dicono - viene insegnata nella scuola primaria secondo la quale la virgola si mette quando si respira, altrimenti un bambino, con l'asma, dovrebbe, scrivere, in questo, modo.
Capita, al contrario, di leggere pensieri che tolgono il fiato, non per la loro bellezza, per la loro profondità o per il modo in cui ci risuonano dentro: no, semplicemente perché qualcuno mette su carta i propri pensieri in libertà - con associazioni di idee e voli pindarici che farebbero inorridire un qualunque psicanalista -  e quando si pensa, si sa, non si mettono le virgole.
Cerchiamo una sana via di mezzo: mettiamole negli elenchi, mettiamole quando ci sembra che ci voglia una pausa, non mettiamola mai tra soggetto e predicato, dove risulta piacevole ed opportuna come la suocera durante la prima notte di nozze.

Punto. Bello, forte, semplice. Chiude una frase. Se poi si va anche a capo, significa che con quello che c'è dopo non c'è niente da spartire. Se, invece, inizi la frase successiva con una congiunzione, sei come quelli che, alla fine di una discussione, dicono non ne parliamo più e dopo 27 secondi li senti pronunciare la frase  E comunque...
 
Punto e virgola. È un po' il Sergio Cammariere della punteggiatura: elegante, distinto ma in fondo non se lo calcola nessuno. Eppure è bellissimo: serve a dire che tra le due frasi c'è una relazione. Non è un punto (che significa non voglio avere più niente a che fare con te), non è una virgola (prendiamoci una pausa, ma in fondo ci vogliamo ancora bene); la verità è che nessuno sa davvero come usarlo, a meno che non si ruoti di 90º e si usi come un occhiolino (bentornati negli anni '90)

Puntini di sospensione. Quante sono le persone della Trinità? Quante sono le Cantiche di cui è composta la Divina Commedia? Tre, porca miseria, TRE. Non due, non quattro. Inoltre, metterli più volte in una frase non fa di chi li usa un grande scrittore, ma solo uno che non sa come andare avanti e prende tempo.

Punto esclamativo e punto interrogativo. Uno e uno solo, a meno che non siate sceneggiatori di Topolino o leoni da tastiera che vogliono esprimere il proprio disappunto contro la Ka$tA!!!111!

Trattino. Chi era costui? Dimenticato e maltrattato, serve per delimitare gli incisi (e state pur tranquilli che ci sarà l'aspirante concorrente di LOL che fingerà di confondere l'inciso con l'incisivo).

Virgolette. No. A meno che non stiate scrivendo il titolo di qualcosa oppure si stia introducendo un discorso diretto. Se poi fate il segno delle virgolette con le dita mentre parlate sarete depennati dalla lista dei miei eredi quando diventerò ricco (e cioè mai)

Sergio Cammariere, Cantautore piccolino

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