29 luglio 2023

Tremesidiferie

Una delle (non) notizie di questi giorni è stata che il MIM, il ministero con il logo più brutto del mondo, ha stabilito che gli esami per i giudizi sospesi (o esami di riparazione, o esami di settembre, o esami che ti hanno causato lesioni da parte dei genitori perché per nove mesi non hai fatto una beata mazza) devono essere conclusi entro il 31 agosto.

Notiziona.

Se ti dicessero che una cosa va conclusa entro l’anno quando la concluderesti?

Esatto, entro il 31 dicembre perché il primo gennaio inizia il nuovo anno.

Ecco, per la scuola il primo settembre è esattamente come il Capodanno ma senza ubriacatura da smaltire, pranzo con i parenti, tombola con lo zio che grida “ambo” dopo che è estratto un solo numero e Roberto Bolle in tv.

Ritorniamo a noi: da anni c’è l’indicazione per cui entro il 31 agosto vanno svolti gli esami, ma è sempre stata data una deroga perché le famiglie vanno in vacanza, perché le scuole sono forni, per tante ragioni più o meno comprensibili.

Dal prossimo anno la deroga non ci sarà e quindi gli esami andranno fatti entro i termini stabiliti.

Pacifico, no?

No.

Sui social (maledetti ora e sempre) è partito il festeggiamento di chi ha visto finalmente messi in discussione i diritti della casta dei docenti, i famosi tremesidiferie di cui i docenti godono indebitamente e durante i quali possono trascorrere tempo nelle loro lussuose ville al mare comprate grazie ai lauti stipendi guadagnati con 18 misere ore di lavoro settimanali.

Per anni mi sono sentito in dovere di giustificarmi e di spiegare la difficoltà di questo lavoro che ‘ntender no la può chi no la prova ma poi ho capito una cosa.

In questo modo avrei accreditato e continuato ad alimentare - in maniera inconsapevole - quella narrazione tossica per cui hai diritto di parola solo se produci compulsivamente, se sei fuori casa per lavoro dalle 7 del mattino alle 10 di sera, se puoi solo godere di poche ferie spesso intese solamente come ostentata assenza di impegni lavorativi.

Ho smesso di giustificarmi perché il mio lavoro è organizzato in questo modo, così come dovrebbe smettere di sentirsi in colpa chi può lavorare da casa, chi non ha orari massacranti, chi non è costretto dalla morsa del vivere per lavorare (e magari neanche del lavorare per vivere).

E poi, se le condizioni lo permettono, smettere di essere prodighi di sé sul lavoro, onnipresenti, troppo disponibili, rendersi indispensabili ed iniziare, invece, a coltivare un tempo per sé, in cui trovarsi, conoscersi, costruire.

Perché, per quanto si possa fare il lavoro più bello ed appagante del mondo, la vita non è il lavoro (e di tanto in tanto vale la pena ricordarsene).

Caparezza, Eroe

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