Sai quando dici "ho voglia di scrivere" ma non trovi un centro di gravità permanente attorno a cui far girare tutto? Ecco, è proprio quella la sensazione.
Settimana impegnativa ma ricca di fatti e cose (quei termini che aborro nella correzione dei compiti in classe ma che, con la coerenza che mi contraddistingue, uso con un certo sadico piacere): la visita alla mostra di Olafur Eliasson a Palazzo Strozzi, ad esempio, è stato uno dei momenti più belli dei miei ultimi anni, quelli in cui ti senti tremare la terra sotto i piedi, in cui perdi le certezze ma sai che da questi nasce una nuova riflessione e una nuova capacità di vedere le cose non viste fino a quel momento nonostante ti fossero sotto gli occhi.
Ma non è di questo che voglio parlare.
Lo spazio sui giornali e l'attenzione dei media è stata equamente suddivisa tra due notizie: la conclusione della latitanza di Matteo Messina Denaro e la storia di Giuseppina, la collaboratrice scolastica che per non pagare l'affitto a Milano coprirebbe ogni giorno, due volte al giorno, la tratta ferroviaria che da Napoli la porta al capoluogo lombardo. Già il fatto che le due notizie abbiano avuto una medesima copertura mediatica fa sorridere e la dice lunga sullo stato dell'informazione italiana ma anche sulle modalità di informazione degli italiani. Si può davvero dare lo stesso rilievo a due notizie di caratura così differente? Ma soprattutto, è questo il modo di fare giornalismo?
Vedere come si è parlato della cattura di Messina Denaro, vedere il/lo/la/i/gli/le presidente del consiglio che è corso/corsa/corsƏ in Sicilia a mettere la bandierina sull'operazione dei ROS come se fosse merito suo ma anche notare che del fatto che, tra l'altro, il capomafia ha fatto sciogliere nell'acido un bambino, molti - se non tutti - se ne sono altamente fregati, andando invece a disegnare un personaggio dai tratti quasi epici, di cui si sono stanati i covi ("parola di plastica" come l'ha definita giustamente la mia musa Vera Gheno), di cui sappiamo che faceva uso di viagra e tante altre amenità. Ecco, io tutto questo lo trovo ingiusto per chi, per causa sua, ha perso parenti, amici, lavoro, casa, e trovo molto strano questo festeggiamento il cui festeggiato non si sa chi sia: lo Stato che ha comunque impiegato 30 anni per catturarlo o il catturato che per tre decenni si è fatto bellamente i fatti suoi, continuando a manovrare uomini e ricchezze? I dubbi nascono, sono tanti e resteranno probabilmente irrisolti.
Altrettanti dubbi ha suscitato la storia di Giuseppina, collaboratrice scolastica maxipendolare. Se penso che detesto fare 50 minuti di macchina tra andata e ritorno, mi chiedo che resistenza possa avere chi fa (o dovrebbe fare) 10 ore di treno ogni giorno. Dovrebbe fare, appunto. La storia puzza di bufala da 770 chilometri (la distanza tra Milano e Napoli) e il primo dubbio che mi è venuto è stato proprio questo: è mai possibile che giornali di rilievo nazionale, i due quotidiani più letti del Paese, abbiano nel loro organico giornalisti che non si preoccupano di verificare l'attendibilità di una storia?
Per un attimo ho pensato (e sperato) che fosse tutta una grande trovata di Trenitalia che ha scritto a tavolino questa storia e ha creato questa grande eco mediatica solo per promuovere, che so io, una favolosa offerta sui biglietti dei treni o qualche innovativo servizio. Ma poi ho pensato che Trenitalia non ha il social media manager di Taffo, e soprattutto che Trenitalia è il regno del disagio (per il quale si scusa alcune volte anche preventivamente) e quindi, no, non è stata sicuramente una gran trovata pubblicitaria.
A questo punto le strade possibili sono due: o è stato solo un tema portato avanti per il clickbaiting (per cui i giornali danno rilievo a storie assurde pur di attirare i lettori) ma mi sembrerebbe una cosa di una tristezza immonda, oppure c'è un messaggio subliminale. Ma quale? Quale messaggio ci volevano veicolare i giornali? Che non è vero che non ci sono giovani disposti a fare sacrifici? Che viaggiare in treno è più sicuro? Che gli affitti a Milano sono troppo alti? Che la famiglia finlandese che ha rotto le scatole con la scuola italiana avrebbe potuto continuare a vivere a Siracusa facendo ogni giorno Palermo/Helsinki andata e ritorno in giornata? Davvero non lo capisco.
Ma soprattutto... e se questo post fosse stato scritto da ChatGPT, l'intelligenza artificiale in grado di pontificare su qualunque cosa come un Umberto Eco o un Dante Alighieri qualunque? Sapremmo distinguere il falso dal vero? Qual è la verità? Qual è l'apparenza?
Giorgio Gabere, Il tutto è falso
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