È il 26 aprile.
Francesco, un trentaduenne aretino di nascita ma cresciuto in Provenza, decide di dedicare la propria giornata al trekking e va a visitare un monte noto per la sua altezza, che si trova a circa 20 km da casa sua.
Dovendo scegliere un compagno, chiede al fratello Gherardo di compiere con lui questa impresa e i due si avventurano verso la cima di questa altura, tanto imponente quanto erta.
Sembrerebbe l'inizio di un brutto documentario di quelli che trasmettono d'estate in tv, se non fosse che siamo nel 1336, il Francesco di cui si parla è Francesco Petrarca e il monte da scalare è il Mont Ventoux.
La storia - raccontata da Petrarca in una delle sue Familiares - è questa: il protagonista inizia a scalare il monte, ne vuole raggiungere la vetta perché sa che da lassù la vista è meravigliosa; dopo una partenza convinta, però, iniziano le difficoltà. Gherardo riesce a salire rapidamente e senza sforzo mentre Francesco, cercando una strada più piana anche se più lunga, rimane spesso indietro, talvolta addirittura sembra andare verso il basso, fino a quando con grande fatica riesce a raggiungere il fratello che, invece, procede senza esitazione.
Nonostante sia consapevole che la ricerca della strada pianeggiante è ciò che gli impedisce di raggiungere agevolmente la vetta, Francesco continua a commettere lo stesso errore e, mentre procede faticosamente, ragiona su ciò che lo blocca e non gli permette di salire quanto vorrebbe. Alla fine, acquisita la consapevolezza del fatto che, per trovare la via che lo porta in cima, l'uomo non ha che da concentrarsi su sé stesso e sulla propria anima, riuscirà a raggiungere il suo obiettivo ma il passaggio più toccante è quello in cui l'autore compie un'autoanalisi di una precisione chirurgica:
Troppi sono ancora gli interessi che mi producono incertezza ed impaccio. Ciò che ero solito amare non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta: "Ti odierò, se posso; se no, t'amerò contro voglia"
Quante volte ci capita di sapere quale sia la cosa giusta da fare, di conoscere perfettamente la strada da percorrere ma di andare ugualmente in tutt'altra direzione, quasi trascinati da una corrente a cui non riusciamo ad opporci? Si prova impotenza, ma allo stesso tempo languore, un languore in cui ci si perde e ci si crogiola. Consapevoli di essere incapaci di esercitare la propria volontà, si ha la sensazione di non essere in grado di emanciparsi dall'incubo delle passioni.
È un percorso accidentato quello che porta in cima, fatto di faticose salite e rapide discese, tutt'altro che lineare; è un percorso che chiede di liberarsi dai pesi superflui, dai bagagli inutili e dannosi, di rinunciare agli ideali e ai princípi a cui magari ormai aderiamo per consuetudine ma senza alcuna convinzione.
Il dubbio che sorge, poi, è un altro: se è vero, come è vero, che per Petrarca la cima del monte rappresentava l'elevazione dell'anima fino a Dio, cosa rappresenta il Mont Ventoux per ognuno di noi?
Non credo ci sia una risposta univoca ma è una domanda che dobbiamo necessariamente porci perché se non sappiamo qual è il nostro obiettivo, il punto a cui tendiamo, la nostra aspirazione ultima, difficilmente riusciremo, non dico a trovare, ma anche solo ad intraprendere un cammino che ci conduca lì.
Dove poi rischieremo anche di trovarci soli.
E poi dicono che la letteratura è noiosa.
Franco Battiato, E ti vengo a cercare