26 ottobre 2025

Un eroe del nostro tempo: il coordinatore di classe

Nei corridoi della scuola li riconosci al primo sguardo.
Prede o predatori: non c'è altro atteggiamento possibile per loro.
Camminano sicuri, spesso con un modulo da firmare in mano, con la determinazione di un cacciatore che cerca di stanare un cerbiatto e con la sicurezza di chi sa di poterci riuscire.
Oppure, sono loro stessi i cerbiatti: si acquattano, fingono di parlare con qualcuno o di essere assorti nella lettura per non farsi vedere, si mimetizzano pur di scansare quel collega che incede proprio verso di loro per parlare dell'ennesima volta che Gianfilippo non si è tolto il cappuccio in classe.
Sono i coordinatori di classe, i veri eroi silenziosi del nostro tempo.
Come dei vassalli medievali, ricevono la loro investitura dal dominus della scuola e la accettano inginocchiandosi con gratitudine, pensando al momento in cui riceveranno il loro compenso da capogiro. Da capogiro nel senso che gireranno il capo dall'altra parte, non cedendo alla tentazione di batterlo contro uno spigolo per aver accettato l'incarico ed aver ricevuto in cambio due noccioline al bar.
Divinità dalle mille braccia, intrattengono rapporti con genitori, alunni, dirigente, segreteria, spesso contemporaneamente. Agenti di viaggio, consulenti informatici, esperti di supporto psicologico, non disdegnano anche di dare consulenze mediche e legali quando necessario.

La mia esperienza mi ha permesso di individuare tre tipi umani specifici, tre modi per svolgere questo incarico, due modi per morire (e uno per sopravvivere).

Il preciso: riceve l'incarico come un eroe della Marvel che scopre improvvisamente di avere un superpotere che lo rende invincibile. A novembre del primo anno di scuola, ha già deciso la meta del viaggio di istruzione dell'ultimo anno. Conosce vita, morte e miracoli di alunne e alunni, i nomi dei loro animali domestici e le loro intolleranze alimentari. Fa stalking pesante ai colleghi ricordando loro scadenze, comunicazioni, riunioni, case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, spesso tramite mail mandate ad orari improponibili.
Se ti chiede per conto degli alunni di spostare una verifica, ha già pronta la soluzione alternativa: calendarizza gli impegni della classe ma che la tua vita e non escludo che sia in grado di individuare anche il momento migliore per fare la spesa in base al tuo orario di servizio.
Tutto meraviglioso.
Il coordinatore perfetto.
Peccato che, per fare ciò, sia poi inesorabilmente destinato a diventare dipendente da psicofarmaci. 

Il pauroso: avrebbe voluto rifiutare l'incarico, ma aveva troppa paura per farlo. Si muove in punta di piedi nei corridoi e nelle segreterie anche in mezzo al caos più totale e quando deve chiedere qualcosa, solitamente, fa una premessa lunghissima che parte dall'epoca del Risorgimento per spiegarti il motivo per cui sta facendo quella richiesta. Legge le comunicazioni mille volte, interrogandosi anche sul senso profondo della punteggiatura per non sbagliare nella comprensione del testo. Ha un rapporto quasi morboso con la mail: teme che qualcuno possa scrivere alle due di notte per comunicare un'assenza imprevista o la volontà di far partecipare la classe ad un progetto. Lui sente di dover essere lì, pronto come una sentinella, vigile, salvo poi andare in confusione perché non si sente in grado di rispondere.
Un anno di coordinamento per lui equivale ad un anno di vita di un cane, ovvero a circa 7 anni di vita umana.

Il lassista: non si rende conto di essere stato nominato coordinatore fino a quando alla prima riunione non gli dicono che tocca a lui farlo. A questa presa di coscienza seguono maledizioni in lingue antiche e ormai date per scomparse, seguite dalla ricerca spasmodica di un sostituto o di una vittima sacrificale, individuata nella figura mitologica del segretario del consiglio di classe.
Non sa neppure quale sia la classe che coordina, ignora cosa significhino le sigle DSA, PTOF, PDP, PFP ma sa perfettamente come sfruttare il suo potere per farsi offrire il caffè dai colleghi al bar. Convoca i genitori spesso ignorandone il motivo ma, in caso di necessità, sfodera un repertorio di frasi fatte che variano dal classico è intelligente ma non si applica al più sofisticato metteremo in atto le strategie per portare a termine positivamente il nostro intervento educativo, contando sulla fattiva collaborazione tra scuola e famiglia.
Non ricorda nomi di alunni e colleghi ma se la cava con un caro/carissimo/grande: vive il suo incarico con la leggerezza di un bohémien demandando tutto alla buona volontà di chi lavora con lui.
Alla fine dell'anno, quando vede il suo pagamento, dopo essersi interrogato sull'origine di quei soldi perché è convinto di non aver avuto incarichi aggiuntivi, si lamenta ad alta voce di quanto poco riconoscimento economico sia dato ad un impiego di responsabilità come quello da lui svolto.

Alla fine diciamocelo: i coordinatori ci salvano la vita, soprattutto quando ci viene fatta qualche richiesta e noi, a cuor leggero, possiamo dire chiedi al coordinatore.
Fino a quando i coordinatori non siamo noi.

Elio e le storie tese, Largo al factotum (da Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini)


19 ottobre 2025

Diseducazione affettiva

Mi stavo guardando allo specchio, l'altra mattina.
Appena sveglio, con gli occhi ancora pieni di sonno e il segno del cuscino sulla faccia mi stavo analizzando nei minimi particolari e guardavo con tenerezza i peli neri che ancora ho tra la barba, incitandoli a non mollare, quando, ad un certo punto, dalla radio accesa sento provenire queste parole: "Io sono contrario al fatto che nelle scuole si faccia educazione sessuale perché poi insegnano che è normale essere gay. Io ho due figlie e voglio diventare nonno".
Ho guardato nuovamente il mio volto nello specchio in quel momento.
Non mi viene in mente immagine più adatta dell'Urlo di Munch.

Era il commento di un ascoltatore alla notizia di qualche giorno fa: facciamo un po' di ordine.
Il ministro dell'Istruzione ha presentato a fine maggio un disegno di legge in materia di consenso informato in ambito scolastico che prevede che le scuole debbano ottenere il consenso informato preventivo dei genitori, o degli studenti se maggiorenni, prima di svolgere qualsiasi attività che tratti temi legati alla sessualità. 
Il consenso deve essere dato in forma scritta, dopo che la scuola ha messo a disposizione i materiali didattici che saranno mostrati alle studentesse e agli studenti.
Il comma 4 dell’articolo 1, inoltre, stabilisce che nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria siano «escluse, in ogni caso, le attività didattiche e progettuali nonché ogni altra eventuale attività aventi a oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità».
La notizia di cui si parlava - e che ha portato al raccapricciante commento - riguarda un emendamento approvato il 15 ottobre dalla Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera che estende questo divieto alle scuole medie.

Quindi, stando alle parole di quest'uomo, la scuola avrebbe il potere di far diventare omosessuali le persone, privandolo così del diritto  - che lui ritiene di avere - di diventare nonno.

Non pensa che le figlie potrebbero anche liberamente scegliere di non voler avere figli, o che le figlie non possano averne, o che potrebbe diventare nonno anche se amassero un'altra donna.
Non pensa neppure al fatto che parlare di educazione sessuale e affettiva a scuola possa essere fondamentale per le ragazze e i ragazzi che - legittimamente - hanno imbarazzo a parlarne in famiglia o che vivono in contesti culturalmente deprivati.
Ma neanche al fatto che, dove non arriva la scuola e neppure la famiglia, i coni d'ombra sono illuminati per lo più da Internet: quanti danni può fare un'educazione sessuale impartita dai siti porno?

Pensa - quell'uomo - che educare all'affettività voglia dire far diventare omosessuali, come se amare persone del proprio sesso fosse una scelta.
E pensa che sia sbagliato insegnare che tutto è normale - o che in fondo niente lo è - perché questo significa togliere qualche certezza e qualche privilegio a lui che è dalla parte dei normali. Accogliere chi è diverso non è importante: è importante sentirsi migliori di chi riteniamo biologicamente inferiore, per ragioni di genere, di razza, di orientamento sessuale. E se ogni tanto qualcuno uccide una donna, lo fa perché non accettava la fine della relazione; se riempie di botte un gay o uno straniero, lo fa perché era stato provocato.
Pensa anche - probabilmente - che le malattie sessualmente trasmissibili siano qualcosa che capita sempre agli altri, per cui non è necessaria alcuna informazione in merito. 

Ma a lui non interessa: lui vuole diventare nonno.
E come lui probabilmente tante persone.
E queste persone votano.

Daniele Silvestri, Il mio nemico

12 ottobre 2025

Bella l'adolescenza

Ogni tanto le mie classi sembrano un aeroporto.
C'è chi parte per stage linguistici di un settimana, chi torna dopo essere stato via per un soggiorno all'estero di sei mesi, chi è impegnato nei percorsi di PCTO, che prima si chiamava Alternanza scuola lavoro e ora si chiama Formazione scuola lavoro (perché. gattopardianamente, se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi)...
Insomma, l'altro giorno entro in classe e mi trovo solo quattro studentesse.
Sono lì che chiacchierano: stanno palesemente facendo gossip.
Fingo indifferenza, compilo il registro elettronico con una lentezza esasperante perché voglio finire di ascoltare tutto il racconto: no, Vostro Onore, non stavo origliando. Il volume della voce era tale che lo avrebbero sentito anche quelli che erano nell'altra ala della scuola.
Alla fine mi coinvolgono nella conversazione
Prof, ci stiamo raccontando le storie del nostro primo bacio.
Cosa avrei potuto fare, Vostro Onore?

E quindi scopro delle modalità del corteggiamento attuale: il segno di interesse è il like ad una storia di Instagram o il repost di un tik tok che dovrebbe far capire all'altra persona ehi mi piaci.
Scopro che i maschi sono tutti scemi e che non fanno mai la prima mossa.
Che ora si va avanti a messaggi subliminali (e per me che non capisco neanche quelli espliciti sarebbe stato un bel problema)
Che si parla senza problemi di amori nei confronti di persone dello stesso sesso (e finalmente).
C'è chi ha scritto un bigliettino alla persona di cui era innamorata ed è ancora in attesa di una risposta. Da tre anni. Novella Penelope.
C'è chi ha dato un bacio alla persona con cui è stata shippata (no, mamma, nessuno ha subito un furto con destrezza) solo perché gli altri se lo aspettavano da lei.

Ero ammirato e divertito da questi racconti.
Divertito dalla loro spontaneità perché non credo che avrei mai spiattellato ai miei professori la mia vita, neanche fossimo stati in quattro in aula.
Ammirato dalla capacità di raccontarsi e di raccontare, che emerge molto di più in questi momenti che non quando devono scrivere temi, infarciti - spesso, non sempre - di qualunquismo e di paroloni scelti al solo scopo di stupire con effetti speciali.
Avrei potuto farle esercitare con la scrittura, con esercizi di analisi del testo.
Ma mi sarei perso un momento fondamentale di leggerezza e di costruzione di sé e del gruppo che difficilmente potrà ricapitare.
Sono uscito da quell'aula con un solo pensiero: bella l'adolescenza, ma non ci vivrei.

Des'ree, Life

05 ottobre 2025

Essere umani

"Definisci bambino"
"Il week end lungo e la rivoluzione non stanno insieme"
"Il diritto internazionale è importante ma fino a un certo punto"
E poi il termine "velisti" utilizzato per indicare i volontari della Global Sumud Flotilla; le manifestazioni pacifiche che hanno visto coinvolte milioni di persone in piazza raccontate solo per i pochi episodi di violenza nei confronti dei poliziotti e in questo modo trasformate in orde di gente violenta che ha l'unico scopo di spaccare tutto e violare l'ordine costituito.
Ed ancora Trump che già prepara il discorso per quando riceverà il premio Nobel per la pace.
Netanyahu e la sua arroganza sfacciatamente esibita
La striscia di Gaza trasformata in un resort di lusso e 5000 dollari dati ad ogni palestinese che se ne andrà

Io, che vivo di parole,  ne perdo l'uso quando penso a tutto questo.
Ma lo perdo soprattutto quando penso all'ingiustizia di cui è vittima il popolo palestinese che subisce un genocidio perpetrato sotto gli occhi di un mondo indifferente che, tra salvare le vite di uomini, donne e bambini innocenti e salvare la propria economia grazie al proprio ossequio nei confronti di Trump per paura di ritorsioni, sceglie vergognosamente la seconda strada.

Non espongo la bandiera palestinese sui social, né selfie che attestano la mia partecipazione alle manifestazioni ma comprendo bene la posizione di chi lo fa: testimoniare di esserci stati è importante, soprattutto avere la consapevolezza di essere stati quella goccia nel mare che, unita a tante altre, ha smosso qualcosa.
Capisco meno la polarizzazione nel discorso, l'idea sempre più pervasiva del con noi o contro di noi, quella secondo cui se non partecipi alle manifestazioni o non scioperi o non esponi tutto questo sui social allora vuol dire che non hai coraggio o - ancora peggio - appoggi l'idea politica opposta.
Quell'idea - semplificando al massimo - secondo cui se non mostri sei indifferente.

La scorsa estate, al castello di Ljubljana, sono rimasto immobile non so per quanto tempo davanti a quella che ho scelto come immagine per accompagnare questo post: è un'opera del designer sloveno Tomato Košir che si chiama 17.400 otrok ovvero 17400 bambini che è il numero di minorenni che fino al 6 giugno 2025 erano stati uccisi nell'area di Gaza.
È stato un pugno nello stomaco: ho percepito forte il dolore per tutto quello che sta succedendo da due anni a questa parte. E ho pensato che l'unica cosa che potevo fare nel mio piccolo era provare a capire, ad informarmi e per quanto possibile ad informare, a parlare, a smontare le sciocchezze raccontate da chi minimizza, a stigmatizzare i comportamenti di chi delegittima le proteste.
Ho provato - e sto provando - a mettermi nei panni di chi improvvisamente si trova privo di tutto, alle bambine e ai bambini che perdono i genitori o che perdono la vita. Se si ha almeno un minimo di senso dell'umanità non si può rimanere indifferenti, non ci si può girare dall'altra parte, rivolgendo gli occhi alle nostre ricchezze.
E non si può fare non perché un giorno potrebbe capitare a noi.
Non si può fare proprio perché ora sta capitando ad altri esseri umani e se anche noi siamo umani non possiamo ignorare tutto ciò. A meno che non siamo bruti.

Fabrizio de André, Canzone del maggio

28 settembre 2025

B.A.

- Ciao, sono Luca e da ventiquattro ore non parlo di Moby Dick
- Ciao, Luca!
Ormai mi immagino così, in una stanza con le sedie messe in circolo, per confessare le proprie dipendenze.
La balena bianca e Achab hanno occupato militarmente quattro mesi della mia vita e la loro lotta è diventata la mia. 120 giorni circa per oltre 800 pagine
Ho odiato profondamente questo romanzo e sono stato più volte sul punto di mollarlo: nella mia vita non avevo mai pensato di voler avere approfondite informazioni su tutti i dannati tipi di balene esistenti nel mondo, sulla nomenclatura di ogni minuscola parte di una barca, sul modo corretto di squartare una balena franca.
L'ho odiato perché le descrizioni spezzano continuamente la narrazione e sono talmente lunghe da far perdere il filo del discorso.
L'ho odiato perché il lessico marinaresco è spesso di difficile comprensione per me che  - prima di questa lettura - non riuscivo a distinguere poppa e prua.
- Ciao, sono Luca e non ricordo mai la distinzione tra longitudine e latitudine ma ora riesco a ricordarmi il nome della parte anteriore e di quella posteriore della barca.
In Moby Dick, però, c'è molto altro.

Ho trovato tre buone ragioni per leggere questo romanzo che può effettivamente risultare respingente:

1. La lotta tra il bene e il male

La trama del romanzo - che fu pubblicato da Melville nel 1851 e che ebbe inizialmente un successo editoriale pari a quello di un libro sul cinema polacco di argomento politico - è nota più o meno a tutti: il capitano Achab parte sulla sua baleniera, il Pequod, per andare - ufficialmente - a caccia di balene ma in realtà per vendicarsi di una capodoglio - Moby Dick, appunto - che nel loro scontro precedente gli ha portato via una gamba. Il capitano, che guida un equipaggio di 30 persone, fa giurare a tutti che non lo abbandoneranno mai e passa la sua vita a bordo chiuso nella sua cabina a cercare di stanare il suo nemico numero uno.
Di questo capitano si dice che è un pazzo, monomaniaco. ha perso ogni umanità e lo dimostra diverse volte nel corso del viaggio. Non ha pietà per chi lo ostacola: vuole solo raggiungere il suo obiettivo.
E la balena?
Moby Dick non fa altro che fare la balena. Vaga per gli oceani, apparentemente imprendibile. Su di lei si dice di tutto: ha il dono dell'ubiquità, è feroce, è immortale. Compare in scena solo alla fine del romanzo (ed è assurdo pensare che l'eroe eponimo, cioè chi da il nome all'opera, faccia la sua apparizione solo nell'ultima scena.
Fa la balena, dicevo, Moby Dick: ricorda un po' la Natura del dialogo leopardiano. Segue il suo percorso e non si cura di chi vuole in tutti i modi sovrastarla. Di chi ammattisce per lei.
L'interrogativo che mi sono posto alla fine della lettura del libro è stato: chi è il buono e chi è il cattivo? Certo, la balena ha causato la perdita della gamba del capitano, ma questo giustifica in qualche modo l'atteggiamento di Achab che causa la morte del suo equipaggio?
È un eroe titanico, Achab, che decide di sfidare i limiti imposti dalla natura oppure subisce la giusta punizione per la sua hybris, per la sua tracotanza?
Spoiler: non vi aspettate una risposta dal libro. La risposta è dentro di voi (ed è sbagliata come diceva qualcuno)

2. Chi è la nostra Moby Dick?

Alzi la mano chi è andato a caccia di balene.
Credo nessuno, ma sarebbe meraviglioso essere smentito.
Se è vero - come è vero - che la letteratura deve raccontare qualcosa in cui noi possiamo riconoscerci, allora Moby Dick  sarebbe uno dei romanzi che dovremmo evitare come la peste.
Non siamo ramponieri, non ci interessa la produzione dell'olio di balena né tanto meno la storia della balena fossile o il funzionamento della sagola.
Però è anche vero che, spesso, proprio un libro totalmente distante da noi ci può portare ad una riflessione su noi stessi.
La seconda domanda che mi sono posto, infatti, è stata: Chi è la mia Moby Dick? Cosa cerco incessantemente? Qual è il mio obiettivo, l'oggetto della mia monomania, la cosa o la persona che cerco? Qual è - se c'è -  il torto subìto per il quale cerco vendetta e che fa da motore alle mie azioni?
Per chiederselo non ci vuole molto coraggio; per darsi una risposta sì

3. Pesci liberi e pesci legati

In uno dei numerosi capitoli che eufemisticamente potremmo definire di difficile lettura (e che con meno diplomazia definirei una martellata nel punto del corpo che immaginate essere il meno adatto a riceverla) Melville ci delizia con una disputa di baleneria relativamente alla corretta attribuzione della proprietà di un pesce una volta arpionato (per i più temerari che vogliano leggerlo, si tratta del capitolo 89).
Anche in questo caso, a partire da una riflessione particolare, sono arrivato ad una più generale.
Quanto della nostra vita è determinato dalla nostra volontà e quanto, invece, crediamo che lo sia?
È possibile che, in realtà, noi siamo solo legati ad una lunghissima catena di cui non vediamo il capo?
Quanto è probabile che, a nostra insaputa, le nostre vie e il nostro destino siano già segnati?
Siamo pesci liberi o pesci legati?

Questi 120 giorni avrei sicuramente potuto spenderli peggio.
E se vi ho fatto venire voglia di leggerlo, credete che non s’è fatto apposta.
Ora posso tornare sereno alla mia seduta dei B.A. (balenieri anonimi).

Banco del Mutuo Soccorso, Moby Dick

21 settembre 2025

Quel momento dell'anno

Finalmente è arrivato quel momento dell'anno.
A breve il rumore della pallina che batte sui racchettoni sarà solo un ricordo.
Dimenticheremo presto l'odore della crema solare e il ronzio delle zanzare, il caldo sfiancante e l'ansia da prestazione vacanziera.
Ma saranno anche sufficientemente lontani i fan di Babbo Natale e delle lucine, del siamo tutti più buoni e del cosa facciamo a Capodanno.
È alle porte il periodo perfetto.
Quello che sa di arancia, di copertina leggera sulle gambe, di pioggia.
Quando ero bambino, al momento del tramonto mi pervadeva una profonda malinconia: non era un sentimento negativo, non ho mai avuto le parole per spiegare come mi facesse sentire e non saprei farlo neppure adesso.
So solo che ho coltivato con cura quel sentimento che è diventato parte di me e che sento rinascere, con un certo piacere - o, per dirla letterariamente con una certa voluttà - ogni volta che arriva l'autunno.

Uno dei poeti più ingiustamente sottovalutati del Novecento italiano, Vincenzo Cardarelli, ha dedicato alla stagione che sta per iniziare questi versi

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

L'autunno non arriva inatteso, ci prepara al suo arrivo con il vento di agosto e le piogge di settembre.
È gentile, l'autunno: non violento e opprimente come l'estate. Gentile come la malinconia, che non è devastante come sanno essere la tristezza o la disperazione.
L'autunno scorre piano, incede con lentezza indicibile: è come un treno che riparte dalla stazione di una città, la cui lentezza ci permette di soffermare lo sguardo su ogni particolare di ciò che stiamo lasciando.

Il ciclo delle stagioni non inganna: l'uomo sa già cosa la natura gli riserva e sa che a questa lenta morte seguirà una nuova rinascita.
All'uomo, però, che pure è parte integrante della natura, non spetta lo stesso destino. Cardarelli pensa all'estate come al miglior tempo della nostra vita e all'autunno come al lungo addio.
E qualcuno, qualche secolo prima, scriveva questo

La neve è scomparsa, ritorna l’erba
sui prati, le foglie sugli alberi;
si rinnova la terra e i fiumi scorrono 
smagrandosi in mezzo alle rive;

si affaccia la Grazia a guidare nuda
le danze con le sorelle e le ninfe.
Non sperare nell’immortalità: te lo dice l’anno,
e l’ora che porta via il giorno fecondo.

Lo Zefiro mitiga il freddo, l’estate
travolge la primavera e morrà a sua volta,
quando l’autunno produce i frutti e le messi,
poi presto ritorna l’inverno inerte.

Però la luna ripara alla svelta i danni
del cielo; noi invece, quando siamo caduti
dove sono il padre Enea, Anco e Tullo,
noi siamo polvere e ombra.

E chi sa mai se gli dei vorranno aggiungere
un domani alla somma degli oggi?
Ma sfuggirà alle mani avide del tuo erede
ciò che darai a te stesso con animo amico.

Quando sarai morto, Torquato, e su te Minosse
pronuncerà una chiara sentenza, non varranno
a riportarti in vita la fede,
la nobiltà, l’eloquenza. Non libera

mai Diana il puro Ippolito
dalle tenebre infernali, né Teseo
riesce per il suo Piritoo
a spezzare le catene del Lete.


È il settimo componimento del quarto libro delle Odi di Orazio, poeta latino vissuto nel I secolo a.C.

La natura - scrive Orazio -  ha il suo ciclo di morte e rinascita, le stagioni ritornano sempre; l'uomo, invece, è destinato a diventare pulvis et umbra, polvere e ombra, una volta morto e nessuno potrà salvarlo, non le sue doti terrene (la fede, la nobiltà, l'eloquenza), non un intervento divino.

Ma allora, si potrebbe dire, come si può amare l'autunno se non è altro che l'inizio della fine?
Forse perché è un momento di maggior ripiegamento su se stessi.
Non è un momento in cui ci sentiamo in obbligo di sentirci felici o più buoni.
O perché è l'ora della malinconia e mi ricorda il mio naso schiacciato contro le finestre della casa dei miei nonni a guardare il cielo cambiare colore.
Non lo so. 
So solo che ora mi sento bene.

Carmen Consoli, Autunno dolciastro

14 settembre 2025

Le scarpe nuove

Dei miei primi 13 anni di vita ho pochissimi ricordi.
In psicologia si chiama "rimozione" ed è un normale processo di sopravvivenza: la tua mente sa che devi andare avanti e mette da parte la memoria degli episodi negativi per far sì che tu non ci affoghi.
Tutto questo, però, crea un vuoto fastidioso, direi quasi un buco nella trama: ho dei flash che mi balenano davanti agli occhi di me bambino, ma sono come luci improvvise nel buio. Cosa c'era prima? Cosa c'è stato dopo? Come mi sentivo? E le persone intorno a me cosa facevano?
C'è, però, un tratto che sono certo di aver ereditato dal me del passato e che ritorna costante nelle mie esperienze: l'entusiasmo di fronte alle cose nuove, anche piccole.

Una matita con la punta affilata, di quelle che se la tocchi con il pollice senti un piccolo brivido.
Un paio di calze nuove per andare a correre (perché quelle vecchie a cui eri affezionato ormai hanno buchi dappertutto)
Una gomma ancora candida, con gli angoli squadrati, che ti aiuterà a cancellare i tuoi errori.
Un quaderno bianco.
L'agenda di inizio anno, quella scelta tra tante e che inizialmente compilerai con cura, segnando ogni appuntamento, usando una bella grafia, la penna giusta e poi diventerà comprensibile come la Stele di Rosetta prima che Champollion ci capisse qualcosa.
Un profumo che ti piace e che per la prima volta ti spruzzi addosso.
Quella maglia che aspetti di indossare per celebrare un'occasione: un nuovo incontro, una persona da rivedere, il ritorno in un luogo in cui sei stato felice.

Sono tutti particolari minuscoli, insignificanti agli occhi degli altri.
Nessuno si accorge della gomma candida, della matita affilata, del quaderno, dell'agenda, della maglia.
Ma io so che sono lì a significare qualcosa di nuovo, a rappresentare materialmente un ennesimo inizio; cercherò di preservarne l'integrità, all'inizio starò attento a non rovinarli, sporcarli o corromperli in qualche modo, avrò la cura di quando si entra in una casa nuova e si cerca di camminare sulle punte per non rovinarla o di quando si acquista una macchina e si evita in ogni modo di procurarle un piccolo graffio.
Poi succederà.
Gli angoli della gomma si smusseranno perché gli errori ci sono stati e vanno cancellati.
La matita perderà la sua punta perché ho avuto tanto da scrivere, sottolineare, annotare e per quanta cura tu ci possa mettere, non tornerà più quella punta che aveva all'inizio.
Il quaderno e l'agenda riporteranno pezzi della mia vita, appunti, scritte incomprensibili, lampi di genio, maledizioni.
Quegli oggetti smetteranno di essere nuovi per diventare vissuti: alla bellezza della novità si sostituirà quella della consuetudine.
E penserò che ciò che era una novità mi è servito - magari anche solo psicologicamente - per affrontare la vita che mi si parava davanti.
Mettere le scarpe nuove per i giorni di fango, per quanto apparentemente insensato, è forse la cosa migliore che possiamo fare.

Calcutta, Tutti

Un eroe del nostro tempo: il coordinatore di classe

Nei corridoi della scuola li riconosci al primo sguardo. Prede o predatori: non c'è altro atteggiamento possibile per loro. Camminano si...