Di moltissimi momenti della mia infanzia e della mia adolescenza non conservo alcuna traccia.
Uno, però, si è affacciato l'altro giorno, prepotente e immotivato. alla mia mente: sto ancora cercando di capire il perché ma credo che lascerò perdere, perché è bello lasciarlo galleggiare così.
C'era un'aria fredda, quel giorno. Solo qualche anno dopo avrei scoperto che il freddo della mia Puglia non era freddo, ma a 15 anni non potevo saperlo.
Due colori: il grigio e il blu.
Il grigio chiaro e il grigio scuro di una camicia che avevo ereditato da mio fratello: una camicia che ricordo di una bruttezza imbarazzante ma che indossavo con molto orgoglio perché mi faceva sentire grande.
Il blu scuro del vocabolario di greco, il famigerato Rocci: pesava, a portarlo in mano, forse ancora di più che mettendolo nello zaino. Ma mostrarlo al mondo era un segno di riconoscimento, era l'attestazione del fatto che frequentavi il classico e che quel giorno avresti avuto la versione: come a dire "ho una pistola e non ho paura di usarla".
In realtà, quel giorno di paura ne avevo e anche parecchia.
Sarà che i miei occhi insicuri andavano poco d'accordo con i caratteri minuscoli di quel vocabolario.
Sarà che avevo - ed ho ancora - una tendenza alla cialtroneria che prima o poi arriva sempre a chiedermi il conto.
Sarà che non ho mai avuto - e non ho ancora - consapevolezza di ciò che posso fare.
Sta di fatto che ero meno tranquillo del solito.
Ricordo ancora il gesto di mia madre che mi passa, quasi di nascosto, una piccola fodera di plastica trasparente, di quelle che servivano per proteggere la carta di identità, al cui interno era conservato un foglietto a quadretti un po' ingiallito.
Questo è un amuleto - c'era scritto - non aprirlo se non vuoi che perda il suo potere.
Non ho assolutamente memoria di come sia andato quel compito, ma ricordo distintamente la sensazione di potere con cui sono uscito di casa.
Ho conservato quel foglietto religiosamente chiuso in un cassetto per mesi, temendo che davvero potesse perdere il suo potere se ne avessi letto il contenuto.
Poi un giorno non ce l'ho fatta e la curiosità ha avuto la meglio.
L'ho estratto dalla sua custodia, l'ho aperto con delicatezza e l'ho letto.
Gli occhi, alla lettura di quelle parole, scritte con la grafia ampia e talvolta spigolosa di mia madre, mi si sono inumiditi.
Con gli anni ho scoperto un'altra cosa: lo svelamento non ha fatto perdere all'amuleto il suo potere, ma, anzi, lo ha reso ancora più forte. Mi si affaccia alla memoria quella scritta e mi accarezza, ora come allora.
I genitori sono la mano, forte e accogliente talvolta, insicura e ruvida altre volte, su cui si poggiano farfalle.
Basta poco a danneggiarne le ali: un gesto avventato, anche involontario, un gesto di stizza, le dita che si stringono sul palmo in un breve accesso di rabbia.
Basta poco, un gesto di attenzione, uno sguardo amorevole, una carezza appena accennata, a far sì che la farfalla possa volare sicura, allontanarsi dalla mano ma senza dimenticarla mai.
Jacques Brel, Ne me quitte pas
Questo delicato racconto mi rende più gradevole la giornata, quasi a scordarmi il "fineponte" che incombe!
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