10 novembre 2024

La società degli incompresi

Come mi capita spesso, quando non trovo le parole, sono le parole a trovare me.

L'incomprensione regna sovrana. 
Ognuno di noi si sente capito da pochissime persone e solo ogni tanto. 
Anche quelli che ci capiscono, non sempre hanno voglia di farlo. 
Tutta questa enorme massa di comunicazione e tentativi di farci capire, di farci avvistare, alla fine si conclude con la consapevolezza che è difficilissimo essere compresi e ancora di più avvistati. 
Le incomprensioni riguardano sia la Rete sia la cosiddetta realtà. La gente non ci capisce perché è nervosa, ha troppi fuochi accesi, nessuno può essere esaminato con attenzione benevola. Ognuno di noi è condannato per direttissima o rinviato a giudizio. Nessuno è disposto a giurare sulla nostra innocenza, nemmeno la persona che ci ama.
L'età dell'incomprensione produce depressioni e malattie fisiche. [...] Negli ospedali c'è il reparto per i cardiopatici, non c'è il reparto per gli incompresi. 
Sarebbe ora di istituire una sorta di pronto soccorso psicologico in cui poter andare e dire: nessuno mi capisce, provate a farlo voi. 
Tutte le discussioni che facciamo sull'emergenza climatica e su altri disastri provocati dall'uomo sono destinate a rimanere senza risposta se non ci occupiamo dello stato delle anime. 
Primo punto: le persone hanno il diritto di essere almeno vagamente capite per quelle che sono. Sembra facile e invece non accade quasi mai. 
Anche nelle scuole bisognerebbe occuparsi di questo problema: l'ora di religione non riscuote molto interesse, ci vorrebbe un tempo in cui sin da bambini si facciano esercizi per capire ed essere capiti.
Non si tratta di accrescere i nostri saperi, ma la nostra comprensione ed empatia.
Gli altri non sono morti e invece noi ci comportiamo come se questo fosse già accaduto, già assodato.

Le parole di Franco Arminio sono, come sempre, balsamo e sale sulle ferite.
Rifletto seriamente sul presente e sul futuro, su quello che vorrei fare e vorrei essere e su quello che sono e faccio.
Ultimamente ho la sensazione di infilare azioni e parole sbagliate come perline in un braccialetto, con metodo e concentrazione, e di errare - nella duplice accezione di sbagliare e di vagare - senza un fine e senza una fine. 
Mi sembra di non saper fare anche quello che fino a ieri mi riusciva e di non avere più certezze su quello che avevo conquistato con fatica.
Accolgo lacrime ma penso di non avere gli strumenti per farlo e ripenso, sempre più convinto, alla necessità di un fronte comune per la difesa della parlarsi di persona: stiamo perdendo l'abitudine di guardarci negli occhi, preferendo sempre di più la via facile della comunicazione a distanza, anche con le persone a cui vogliamo bene. Ci schermiamo, sentiamo sempre di aver bisogno di protezione e non capiamo che lo spazio vuoto che noi creiamo e che ci fa sentire sicuri diventa spesso una voragine, impossibile da attraversare. 
Infine arriva la razionalità che mi dà una pacca sulla spalla e mi dice che è tutto a posto, che è tutto risolvibile, che sono tante piccole cose che si possono mettere a posto: non sempre ci credo, ma annuisco.

Niccolò Fabi, Offeso

03 novembre 2024

L'amuleto

Di moltissimi momenti della mia infanzia e della mia adolescenza non conservo alcuna traccia. 
Uno, però, si è affacciato l'altro giorno, prepotente e immotivato. alla mia mente: sto ancora cercando di capire il perché ma credo che lascerò perdere, perché è bello lasciarlo galleggiare così.

C'era un'aria fredda, quel giorno. Solo qualche anno dopo avrei scoperto che il freddo della mia Puglia non era freddo, ma a 15 anni non potevo saperlo.
Due colori: il grigio e il blu. 
Il grigio chiaro e il grigio scuro di una camicia che avevo ereditato da mio fratello: una camicia che ricordo di una bruttezza imbarazzante ma che indossavo con molto orgoglio perché mi faceva sentire grande.
Il blu scuro del vocabolario di greco, il famigerato Rocci: pesava, a portarlo in mano, forse ancora di più che mettendolo nello zaino. Ma mostrarlo al mondo era un segno di riconoscimento, era l'attestazione del fatto che frequentavi il classico e che quel giorno avresti avuto la versione: come a dire "ho una pistola e non ho paura di usarla".

In realtà, quel giorno di paura ne avevo e anche parecchia.
Sarà che i miei occhi insicuri andavano poco d'accordo con i caratteri minuscoli di quel vocabolario.
Sarà che avevo - ed ho ancora - una tendenza alla cialtroneria che prima o poi arriva sempre a chiedermi il conto.
Sarà che non ho mai avuto - e non ho ancora - consapevolezza di ciò che posso fare.
Sta di fatto che ero meno tranquillo del solito.

Ricordo ancora il gesto di mia madre che mi passa, quasi di nascosto, una piccola fodera di plastica trasparente, di quelle che servivano per proteggere la carta di identità, al cui interno era conservato un foglietto a quadretti un po' ingiallito. 
Questo è un amuleto - c'era scritto - non aprirlo se non vuoi che perda il suo potere.

Non ho assolutamente memoria di come sia andato quel compito, ma ricordo distintamente la sensazione di potere con cui sono uscito di casa.
Ho conservato quel foglietto religiosamente chiuso in un cassetto per mesi, temendo che davvero potesse perdere il suo potere se ne avessi letto il contenuto.

Poi un giorno non ce l'ho fatta e la curiosità ha avuto la meglio.

L'ho estratto dalla sua custodia, l'ho aperto con delicatezza e l'ho letto. 
Gli occhi, alla lettura di quelle parole, scritte con la grafia ampia e talvolta spigolosa di mia madre, mi si sono inumiditi. 
Con gli anni ho scoperto un'altra cosa: lo svelamento non ha fatto perdere all'amuleto il suo potere, ma, anzi, lo ha reso ancora più forte. Mi si affaccia alla memoria quella scritta e mi accarezza, ora come allora.

I genitori sono la mano, forte e accogliente talvolta, insicura e ruvida altre volte, su cui si poggiano farfalle.
Basta poco a danneggiarne le ali: un gesto avventato, anche involontario, un gesto di stizza, le dita che si stringono sul palmo in un breve accesso di rabbia.
Basta poco, un gesto di attenzione, uno sguardo amorevole, una carezza appena accennata, a far sì che la farfalla possa volare sicura, allontanarsi dalla mano ma senza dimenticarla mai.

Jacques Brel, Ne me quitte pas

La società degli incompresi

Come mi capita spesso, quando non trovo le parole, sono le parole a trovare me. L'incomprensione regna sovrana.  Ognuno di noi si sente ...