01 giugno 2025

I want to be what you saw in me

Voglio essere ciò che hai visto in me.
(Faccio la traduzione per genitore1 e genitore2 che a scuola hanno studiato francese e arrancano con la lingua della perfida Albione).
È questa la scritta che accompagna l'ultima opera - in ordine cronologico - di Banksy e che è comparsa tre giorni fa sui muri di una città, forse Marsiglia: sono stati sufficienti un paletto e un muro su cui il paletto proietta la sua ombra per colpire la fantasia dell'artista che ha trasformato quell'ombra in un faro, accompagnato dalla scritta "I want to be what you saw in me".
E la cosa ha risuonato potente in me: cosa voleva dire l'artista? Cosa vuol dire questo per me?

La luce che fa sì che l'ombra si stagli su un muro è lo sguardo degli altri: senza questo sguardo, non potrebbe emergere ciò che noi abbiamo dentro.
Dall'immagine che gli occhi altrui fanno emergere di noi, siamo inevitabilmente condizionati.
Siamo un palo, un anonimo palo grigio, uguale a tanti altri fino a quando il sole non ci illumina, dando forma ad una parte di noi che, altrimenti, resterebbe invisibile.
Gli altri vedono in noi qualcosa, ci modellano con il loro sguardo e quella forma che assumiamo diventa parte di noi: abbiamo la tentazione di aderirvi completamente per smettere di pensare di essere solo pali, per assumere un'identità e non deludere le aspettative di chi ci ha reso altro, oltre che un pezzo di ferro che interessa solo ai cani per fare pipì.
Siamo grati a chi ha tirato fuori un lato di noi che non supponevamo di avere. Quanto ci fa sentire validi sapere che qualcuno vede in noi - al posto o in aggiunta di ciò che siamo - un faro, punto di riferimento fondamentale per guidare chi si avventura nella notte?

La luce, però, può cambiare angolazione, intensità, può addirittura venir meno: in ognuno di questi casi, cambia l'immagine che il palo proietta sul muro. 
E non è detto che questa nuova immagine sia peggiore della precedente: è altro, siamo sempre noi ma visti con occhi diversi, sotto un'altra luce, appunto.
Ma quindi, chi siamo noi? Siamo solo la proiezione dello sguardo altrui? Chi siamo? Quanti siamo?
Possiamo fare a meno della nostra ombra?

La mente non può non andare qui

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Potremmo non curare la nostra ombra e concentrarci su ciò che siamo (e non sull’immagine che gli altri hanno di noi) ma cosa resterebbe di noi? Un palo, uguale a tutti gli altri.

Carmen Consoli, Nell'apparenza

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