Non lo avevo mai fatto prima. Non so perché.
L'altro giorno, sprezzante del pericolo, ho deciso di non andare nel bagno dei prof della mia scuola, ma di utilizzare i servizi igienici riservati agli studenti.
Mi sentivo un po' Indiana Jones (ma con la prostata ingrossata) e mi attendevo di trovare chissà cosa in quel bagno: soprattutto immaginavo di trovare muri decorati con simpatici falli, offese, dichiarazioni di amore o di guerra. Già mi vedevo raccontare ai miei colleghi quello che avevo visto lì, un po' come Alberto Angela che illustra le scoperte sensazionali su una nuova civiltà.
E invece nada, nisba, niente.
A parte qualche ACAB scritto con poca convinzione e un paio di sparuti "Forza Viola" c'era poco altro.
Eppure i bagni me li ricordavo diversi: cos'è successo nel frattempo?
Ricordo quando andavo all'università: gli orrendi muri piastrellati di blu chiaro dei bagni dell'Università degli studi di Bari fornivano un campionario di varia umanità.
Dagli accostamenti tra l'Onnipotente e vari animali (tra cui vincevano nettamente i suini) alle rivendicazioni contro docenti che - a parere degli scriventi - avevano abitudini sessuali socialmente poco accettabili, passando attraverso numeri di telefono da chiamare per trovare la felicità in varie forme, quei muri raccontavano storie ed esprimevano la volontà di esistere e in qualche modo di resistere al tempo.
Quelle scritte indicavano la volontà di dire qualcosa a tutti e lasciare una traccia di sé che sarebbe durata almeno fino a quando qualcuno non avesse provveduto alla pulizia dei muri, quindi pressoché in eterno.
L'accostamento è un po' epico, ma mi vengono in mente i suggestivi graffiti pompeiani, quelle scritte sui muri che contenevano temi politici, offese personali, parodie letterarie, divieti e - immancabili - riferimenti sessuali talvolta ai limiti della decenza (per chi è curioso, qui c'è un piccolo ma significativo repertorio).
Penso anche ad un fenomeno molto più recente: il MeP, movimento per l'emancipazione della poesia, nato ormai 15 anni fa a Firenze (se volete informazioni potete trovarle qui). Propriamente non si tratta di scritte sui muri ma di testi incollati ovunque per strada e composti da poeti anonimi che si pongono come unico scopo quello di diffondere la poesia, scrollandole di dosso quegli strati ormai sedimentati di polvere su cui - va ammesso - l'insegnamento scolastico ha la sua grossa fetta di responsabilità.
Se, camminando per la città, rallentassimo un attimo alzassimo gli occhi dal cellulare, potremmo imbatterci in versi come questi:
Ho capito di amarti
in un giorno normale,
io ero banale
molto scostante,
non mi vedevo tra la gente.
Ho visto te.
E ti ho lasciato le mie parole
per poterti addormentare la sera
senza tenere la luce accesa,
sprofondare nel buio
e non avere paura.
Hai visto me.
E mi hai lasciato i tuoi occhi,
adesso anche io
mi vedo tra la gente.
Ho capito di amarti
una notte di pioggia,
chiara come tante
in cui li tuo sorriso
ne fu eco per sempre.
Ed oggi che amarti
è capire tutto e niente
ti ho lasciato questi miei silenzi,
nero su bianco
per ricordarti che
anche amare
bisogna saperlo fare.
Che l'uomo abbia bisogno di comunicare è un dato di fatto incontrovertibile, ma è evidente che il luogo in cui ciò avviene è cambiato. Ai muri reali si sono sostituiti i feed ovvero le pagine di Facebook prima e di X, Instagram e Tik Tok poi: è su quelle pagine che si dà sfogo all' hate speech, è tramite questi mezzi che si mostra ciò che di sé si ritiene essere la parte migliore, è così che si entra in contatto con gli altri, privandosi, però, del tatto, il senso primordiale dell'uomo, quello che fa avvertire - in senso letterale e metaforico - la consistenza delle cose. Anche la poesia trova spazio sui social: penso, ad esempio, a Rupi Kaur che riesce a conciliare poesia e velocità di fruizione in un modo spesso notevole, a pagine che pubblicano scritti di autori classici (Cesare Pavese sta vivendo una seconda giovinezza) o anche a trend di tik tok. L'altro giorno, spiegando Tanto gentile e tanto onesta pare ho scoperto che questa poesia è stata ripresa sui social ma ho rifiutato qualunque offerta da parte di chi voleva rendermi edotto sull'argomento. Ho troppo rispetto per il nasone autore di quei versi.
C'è poi un'altra cosa che avviene principalmente su Instagram e che segna uno spartiacque tra generazioni: la GenZ sembra non voler lasciare traccia di sé - limitandosi a pubblicare stories che in 24 ore spariscono - e voler avere il controllo di chi guarda ciò che pubblica. Che è poi l'esatto contrario di ciò che avviene con le scritte sui muri, accessibili a tutti, anonime sia nella produzione che nella fruizione e potenzialmente eterne.
È un cambio antropologico importante su cui riflettere, senza derubricarlo a cosa stupida che fanno i giovani.
Psicologi, Sui muri
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